in risposta a questa:
Caro Stefano, grazie per il tuo intervento, che punta decisamente in profondità e coglie una rete di momenti essenziali (sottotraccia nella lettera – pur lunga – che ti inviavo).
Contribuisco, a mia volta, con un elemento al disegno del sistema o quadro che con acutezza disegni, a proposito della (non indecifrabile) ‘interruzione di linea’ nella ricerca dagli anni ’60-’70 in qua: metterei nel conto degli eventi nodali le molte autodistruzioni o scomparse, inabbissamenti e morti, che troppi protagonisti di quella stagione hanno patito. Penso ai suicidi e alle morti per droga, agli infortuni, gli imprevisti. Per autori più e meno noti. Penso alla fine di tante esperienze e tanti laboratori culturali.
Penso alla scomparsa di Porta, Spatola, Reta, Vicinelli. Pensiamo all’ictus che colpì Villa (e che pure non ne abbatté l’energia). Penso allo spegnersi – assai più tardi, a “restaurazione” in pieno corso – di un fuoco inaggirabile dell’incendio di secondo Novecento: quello del linguaggio di Amelia Rosselli. Penso alla scomparsa di Ketty La Rocca. (Penso alla vita e all’indicibile di molti che poi riemersero però, per fortuna, alla fine degli anni ’90, da esperienze di tossicodipendenza durissime; ma avevano nel frattempo perso tanti e poi tanti compagni di strada, strutture, occasioni).
Penso al laboratorio segreto di tanti che Anterem ha comunque avuto il merito straordinario di sostenere nonostante e proprio per il loro essere appartati: Brandolini d’Adda, Mussio, per esempio. Due giganti, a mio parere.
Tutti questi sono stati punti spersi, dimenticati ingenerosamente spesso (quanto ha fatto Nuvolo, per esempio, per tanti, a partire da Burri! e che valore la sua opera..).
Se penso ai fotografi, poi… Basti il nome della geniale Woodman, scomparsa giovanissima…
Ma tutte queste entità non puntiformi, ma sistemi di stelle e galassie, pure, avrebbero potuto – con il flusso di opere che di fatto hanno prodotto – variare (nelle folte differenze che li separano e distanziano, certo) i punti e ponti e geografie e momenti della storia successiva. O forse no.
In ogni caso il nostro post-TelQuel non c’è stato (o non interamente, o affidato a un numero circoscritto e insufficiente di registri dello spettro modale). Mentre altrove una base era attestata, e su quella si costruiva, da noi la base franava e su un disastro generazionale iniziavano a tessere le loro vocine stridule i neolirici e neoricchi che non si accorgevano della nascita di Milano 2 accanto ai loro taccuini.
Questa la tristezza infinita che la tua, la mia, le future generazioni non smetteranno di scontare (nemmeno traducendo usque ad mortem quanto accaduto altrove: perché l’altrove tale resterà, finché una rifondazione individuale e collettiva non farà leva su quanto di buono non smette di esserci in questo paese massacrato, questa “Italia sepolta sotto la neve”, per dirla con Roversi).
Ti mando un abbraccio fraterno, e l’invito a continuare il nostro dialogo
Marco