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il canto d’amore di j. alfred prufrock / t. s. eliot — — visage / luciano berio

Nel 1967 Nico D’Alessandria realizza un mediometraggio marcatamente sperimentale dal titolo Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, nel quale delle immagini scorrono deviate, accompagnate dalla recitazione della poesia di Eliot e da suoni distorti. La voce narrante è di Carmelo Bene, le musiche di Luciano Berio (Visage).

Titolari del copyright Kontor New Media Music Per conto di: col legno
Copyright © Visage (1961) [Remastered] Luciano Berio & Institute for Computer.

luigi bonfante su duchamp, “fountain”

Gli elementi della rivoluzione duchampiana che portano alla realizzazione sia del Grande Vetro che dei readymade sono dunque gli stessi: il rifiuto della pittura, che è fatta con l’occhio e la mano, l’innovazione radicale, lo humour e l’ironia, l’indifferenza estetica, il gioco di parole, il caso. E tutti puntano verso una stessa direzione, paradossale per un artista: mettere in dubbio l’arte; o meglio, «farla finita con l’arte», «privare l’artista della sua aura», «sminuire il suo status all’interno della società». «La parola arte significa fabbricare, fare con le mani […]. Anziché farla, io la ottengo già fatta. […] è un modo per negare la possibilità di definire l’arte.»
L’Orinatoio vuole dunque rendere impossibile definire l’arte. E lo fa mettendo in cortocircuito l’utopia della libertà assoluta d’innovazione: se si elimina qualunque autorità estetica con il motto “niente giuria, niente premi”, s’impedisce sì, nel modo più drastico, che il passato limiti la libertà creativa, ma si legittima anche l’idea che chiunque possa essere artista e qualunque cosa egli proponga possa essere “opera”. Negli anni sessanta l’eredità di Fountain produrrà anche slogan come quello del movimento Fluxus “Tutto è arte e chiunque la può fare”, che troverà forti risonanze nello spirito di quel tempo e in molte esperienze artistiche coeve. Per esempio in Joseph Beuys, che criticherà Duchamp per aver abbandonato l’arte senza aver tratto la logica conclusione del suo gesto, cioè che «ogni essere umano è un artista».
Ma Duchamp era un dandy ironico e un individualista radicale, estimatore dell’Unico di Stirner. Basta pensare al Grande Vetro per capire che la sua produzione, così esoterica, enigmatica e sfuggente, ha ben poco a che fare con l’utopia di Beuys. Del resto, lo dirà esplicitamente: «L’individuo artista esiste, è esistito ed esisterà sempre, ma in quantità molto ristrette».
Anche se la rivoluzione di Duchamp (come quella di molte avanguardie del Novecento a partire dal Dadaismo) ha come conseguenza il dissolvimento del confine tra arte e vita, con Fountain egli non vuol dimostrare che tutto è arte e che quindi tutti possono essere artisti. Il suo primo, evidente intento è la dissacrazione dell’arte, di quell’arte che riteneva troppo “retinica” e troppo legata alla figura demiurgica dell’artista e al gusto. Il gusto è un’abitudine, diceva: «Se si ripete più volte qualcosa, si trasforma in gusto». Per questo si era messo a fare cose che sarebbe stato impossibile o assai difficile rinchiudere in qualche abitudine di pensiero, in qualche significato prestabilito. L’Orinatoio è l’esito più esplicito, caustico e ironico di questa dissacrazione dell’arte. Una dissacrazione che non corrisponde però all’antiarte del Dadaismo, perché l’antiartista, per Duchamp, è come un ateo: crede in negativo. Invece lui è uno scettico ironico, una mente cartesiana e corrosiva che dubita di tutto e non prende niente sul serio, a cominciare dall’arte stessa, che non vuole distruggere, ma appunto dissacrare: toglierle l’aura di superiorità, il carisma spirituale. Per questo ama definirsi “anartista”. A questo punto è evidente che l’opera più influente del Novecento non è un’opera d’arte, innanzitutto perché non rientra nel significato di “arte” elaborato dalla nostra cultura, per il quale bellezza ed emozione estetica sono concetti essenziali. Invece di suscitare emozione estetica, Fountain stimola domande di tipo filosofico: cosa fa di un oggetto un’opera d’arte? È davvero indispensabile che siano la mano, l’occhio e il gusto soggettivo dell’artista? Non potrebbe essere semplicemente il gesto mentale di scegliere qualcosa? (In fondo anche i tubetti di colore, arriverà a dire Duchamp, sono dei readymade scelti dal pittore.) In questo senso, anche se ironia, paradosso e ambiguità rendono inafferrabile il gesto di liberazione del readymade, si potrebbe dire che Fountain non è un’opera d’arte perché è un’opera sull’arte, un oggetto che stimola riflessioni sulla natura e il senso dell’arte stessa.

Luigi Bonfante CATASTROFE UNO. Duchamp e la spora aliena. Fountain, 1917-1963, in Catastrofi d’arte. Storie di opere che hanno diviso il Novecento, Johan & Levi editore, 2019

bruno munari, da “teoremi sull’arte” (1961)

Bruno Munari, (1961), Teoremi sull’arte [art Theorems] [art Théorèmes], English translation by Isobel Butters Caleffi, French translation by Annie Pissard Mirabel, Corraini Edizioni, Mantova, 2003 [First published by All’insegna del pesce d’oro, Scheiwiller, Milano, 1961] _ Imgs: https://at.tumblr.com/garadinervi/bruno-munari-1961-teoremi-sullarte-art/zd9dzzq0ug7f

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l’editoria di restaurazione in restaurazione (sebastiano vassalli)

Sebastiano Vassalli a Paolo Fossati, nel 1971:

— È un fatto che l’editoria italiana procede di Restaurazione in Restaurazione, e tra una restaurazione e l’altra non ci sono rivoluzioni, per carità, no, soltanto un rumore di seggiole smosse, di tirate d’orecchie in famiglia. —

* Lettera dattiloscritta Novara, 30 settembre 1971, Archivio Einaudi / Archivio di Stato di Torino (cit. in R. Cicala, La sperimentazione editoriale del giovane Vassalli [2011], Inchiostri indelebili, 2014: 215-247)

[grazie a Giacomo Coronelli per avermi trasmesso la citazione]

corrado costa e il “film dell’angelo raziel”

Questo frammento da Film dell’angelo Raziel, testo contenuto in The Complete Films (1983), di Corrado Costa, è ascoltabile in questo audio:

che traggo da una “magica” apparizione di C.C. nel seguente video, al minuto 5′ 15”:

Terzo capitolo (parte 2) del programma Le voci della scrittura, del 1987, ideato da Giorgio Weiss

Il testo intero si può leggere qui:

oppure ascoltare al minuto 6′ 43” letto sempre dallo stesso Costa qui:

Corrado Costa, The Complete Films

Registrato a Parma nel 1981 e pubblicato postumo nella rivista “Baobab. Informazioni fonetiche di poesia” a cura di Adriano Spatola.

The Complete Films
1) Localizza l’uomo invisibile in una mappa del Mojave Desert
2) L’uomo invisibile
3) La figlia dell’uomo invisibile
4) Heinrich Schliemann e l’uomo invisibile
5) Film dell’angelo Raziel
6) Il paradiso può attendere
7) Leda prova col pavone
8) Leda prova col cigno
9) Baruchello! Facciamo, una buona volta, il catalogo delle vocali
10) Vanno a vedere tre film:
– Nel senso della luce
– “Campo sopra filo di seta sta a indicare che l’intera fonte dell’esistenza umana è basata pressoché sul nulla” 
– Vita di Lenin
11) Mario Mariotti insegna a una palla a non rimbalzare