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oggi, 1 dicembre: una giornata per roberto roversi, a catania e a pieve di cento

OGGI, 1 dicembre, è una giornata roversiana, con ben quattro appuntamenti: a Pieve di Cento un reading, a Catania un convegno, una mostra e uno spettacolo.

Informazioni e locandine qui:
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1 dicembre: una giornata per roberto roversi, a catania e a pieve di cento

Il 1 dicembre sarà una giornata roversiana, con ben quattro appuntamenti: a Pieve di Cento un reading, a Catania un convegno, una mostra e uno spettacolo.

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da “in girum imus nocte et consumimur igni” / guy debord. 1978

Come li ha trattati duramente il sistema di produzione moderno! Di progresso in progresso, hanno perduto il poco che avevano, e guadagnato ciò che nessuno voleva. Collezionano le miserie e le umiliazioni di tutti i sistemi di sfruttamento del passato; non ne ignorano che la ribellione. Assomigliano molto agli schiavi, perché sono stipati in massa in brutti fabbricati, malsani e lugubri; mal nutriti da una alimentazione contaminata e senza gusto; mal curati nelle loro malattie che si rinnovano di continuo; continuamente e meschinamente sorvegliati; mantenuti in un analfabetismo riadattato e nelle superstizioni spettacolari che corrispondono agli interessi dei loro padroni. Sono trapiantati lontano dalle loro provincie e dai loro quartieri, in un paesaggio nuovo e ostile, secondo le convenienze concentrazionarie dell’industria presente. Non sono che cifre entro grafici apparecchiati da imbecilli.

Muoiono in serie sulle strade, ad ogni epidemia di influenza, ad ogni ondata di caldo, per ogni errore di coloro che adulterano i loro alimenti, per ogni innovazione tecnica che crei profitto ai molteplici imprenditori di un ambiente di cui essi sono i primi a subire gli inconvenienti. Le loro spaventose condizioni di vita sono la causa della loro degenerazione fisica, intellettuale, mentale. Si parla loro sempre come a dei bambini obbedienti, ai quali è sufficiente dire: «bisogna», ed essi sono subito pronti a crederlo. Ma soprattutto li si tratta come bambini scemi, davanti ai quali barbugliano e delirano decine di specializzazioni paternaliste dell’ultima ora, che fanno loro credere non importa che cosa dicendoglielo non importa come; e, l’indomani, altrettanto bene il contrario.

Separati fra loro a causa della generale perdita di ogni linguaggio adeguato ai fatti, perdita che impedisce loro il benché minimo dialogo; separati dalla loro incessante concorrenza, sempre incalzati dalla frusta nell’ostentato consumo del nulla, e dunque separati da un’invidia insensata e incapace di trovare una qualsivoglia soddisfazione, sono separati perfino dai loro propri figli, che, ancor non è molto, erano la sola proprietà di coloro che non hanno nulla.

[…]

Il loro statuto può essere […] comparato al servaggio, poiché sono legati esclusivamente a un’impresa e al suo buon andamento, benché senza reciprocità in loro favore, e soprattutto poiché sono rigorosamente forzati a risiedere in un unico spazio, la stessa cerchia di abitazioni, uffici, autostrade, vacanze e aeroporti sempre identici.

Ma assomigliano anche ai proletari moderni per l’insicurezza delle loro risorse, che è in contraddizione con la routine programmata delle loro spese, e per il fatto che devono vendersi in un libero mercato senza possedere gli strumenti del loro lavoro, perché hanno, di fatto, bisogno di soldi. Devono comperare delle merci, e si è fatto in modo che non resti loro alcun contatto con nulla che non sia una merce.

Ma dove però la loro situazione economica si apparenta più precisamente al particolare sistema del peonaggio, è in questo, che non si lascia loro nemmeno più il maneggio momentaneo di quei soldi intorno ai quali gira tutta la loro attività. Non possono evidentemente che spenderli, ricevendone in troppo piccola quantità per accumularli, ma in fin dei conti si vedono obbligati a consumare a credito, e gli vien trattenuto dal salario il credito a loro consentito, dal quale si potranno liberare lavorando ancora.

Siccome tutta l’organizzazione della distribuzione dei beni è legata a quella della produzione e dello Stato, si lesina disinvoltamente su tutta la loro razione, di cibo come di spazio, in quantità e in qualità. Così che restando formalmente dei lavoratori e dei consumatori liberi, non possono rivolgersi altrove, perché non c’è posto ove non ci si prenda gioco di loro.

[…]

Il carattere illusorio delle ricchezze che pretende distribuire la società attuale, se non fosse stato riconosciuto in tutti gli altri casi, sarebbe sufficientemente dimostrato per questa sola osservazione, che è la prima volta che un sistema di tirannia mantiene così male i suoi familiari, i suoi esperti, i suoi buffoni. Servitori strapazzati del vuoto, il vuoto li gratifica in moneta con la sua effigie. Detto altrimenti, è la prima volta che dei poveri credono di far parte d’una élite economica malgrado l’evidenza contraria.

https://www.writingshome.com/ebook_files/146277476569317100-97997743.pdf

all'”esterno” dello spettacolo_ ovvero: contro il ritorno del retinico / differx. 2023

All’esterno dello spettacolo (come della “contemplazione” → anni ’70), forse il problema maggiore comparso con il Novecento nel suo svolgersi è stato proprio questo: il ritorno massiccio del retinico sotto forma di spettacolo. E, in ciò, forse è stato peggiore il secondo “monstrum”: quello appunto spettacolare (frontale, mai obliquo, mai mercuriale, sempre e solo figurativo, mai metamorfico, mai trasfigurativo o defigurativo).

Per questo, e qui dirò qualcosa di relativamente imprevedibile, non è possibile prendere troppo sul serio la stessa pratica dell’asemic writing così come è, per sé. (E peggio ancora in funzione di una ipotetica liberazione dalle pastoie del linguaggio, della semantica: mossa puerile, il più delle volte).

La scrittura asemica a mio modo di vedere ha senso se sottoposta a una sottrazione di percezione connotata, aisthesis, osservabilità-posa, calligrafia, moina, spettacolo.

Ma la sottrazione stessa, ancora, va pensata non in forma museale = daccapo vedibile/vendibile.

Questo è uno scoglio che credo la scrittura asemica debba osservare ed evitare, a vent’anni e più dalla sua “esplosione” come versante artistico diffuso, riconosciuto, condiviso.

va di moda il rito, è un fatto

https://www.baritoday.it/eventi/il-quotidiano-innamoramento-teatro-kismet-bari-4-febbraio-2023.html

un rito laico, per carità, ci mancherebbe. “in cui anche l’ascolto del pubblico può essere ispirato quanto la scrittura”.

coraggio, pubblico, se ti sforzi, se ti impegni, anche tu puoi essere ispirato.
(forse nell’accezione di Savinio? probabile).

della parola “spettacolo” proprio non c’è traccia. eppure così funziona.
però parlano di ispirazione. perbacco.

c’era una volta, tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, un dottore in niente che si chiamava G**

le tossine del romanticismo (2)

È impensabile che un movimento di grandi dimensioni non rilasci nel tempo, anche una volta esaurito il suo senso storico, le proprie tossine. Eventi profondi hanno logicamente conseguenze di lunga durata. Così il Romanticismo. Che infatti periodicamente si ripropone, addirittura in un secolo, come il Novecento, che di suo ha fatto di tutto per affrancarsene.

Ed è così che nei poeti italiani, segnatamente negli anni Ottanta, in termini di poetica e insieme di editoria (Mondadori, Specchio, orfismi ecc.), e poi da circa cinque-sei anni in qua, ad opera di generazioni nuove che un tempo sarebbero rimaste fisse e senza eco, in un coltivato sottobosco, si produce e riproduce neoromanticismo.

E poiché questo ha – come alleati – lo spettacolo da una parte e lo spettacolo dell’editoria dall’altra, può

1) ambire a qualche vendita in più (in una situazione antropologicamente, culturalmente devastata da metà anni Novanta a oggi),

2) parassitare anzi deforestare gli ecosistemi alternativi,

3) proseguire nella sua operazione di valorizzazione del confessional, dell'”impegno” in affanno pompier, del citabile banale, del bel canto, dell’aproblematico, del limpido-secco o limpido-barocco (indifferente la sintassi: è “il limpido” linguistico la dominante).

le tossine del romanticismo (1)

salvatore vendittelli, scenografo per carmelo bene

In questa videointervista, lo scenografo Salvatore Vendittelli (che quest’anno sarà ospite del festival Di là dal fiume con la mostra Gli anni ’50 tra pop e concettuale, che si terrà fra il 2 e il 4 settembre) parla di Carmelo Bene e del libro che ha dedicato alla propria attività con lui tra il 1961 e il 1971:

https://www.aaccademia.it/ita/scheda-libro?aaref=48

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oggi, 6 settembre, per il festival “di là dal fiume”, a cura del teatroinscatola: il film “domani”, la cabina fotografica di franco vaccari, lo spettacolo di jacopo fo

da https://www.teatrionline.com/2020/09/di-la-dal-fiume-ecco-gli-appuntamenti-del-5-e-6-settembre/


OGGI
, Domenica 6
il festival propone la proiezione al Teatro Verde (ore 18.00) del documentario ambientalista francese Domani, di Mélanie Laurent e Cyril Dion. Il film è un documentario on the road, che attraversa parte dellEuropa e degli Stati Uniti e approda fino in India e allisola della Réunion, alla ricerca di esempi virtuosi, cioè le soluzioni più efficaci per dimostrare che un domani migliore è possibile. Partendo da una ricerca pubblicata nel 2012 dalla rivista Nature, i due registi immaginano un nuovo futuro partendo dagli esperimenti più riusciti nei campi dellagricoltura, energia, urbanistica, economia, democrazia e istruzione. Risultato: una sorprendente, contagiosa e ottimista spinta al cambiamento, a partire già da domani, lasciando ai disaster movie il conto dei danni possibili e andando ad illuminare con la torcia quei pochi luoghi del mondo in cui si produce cibo riparando la natura anziché distruggerla, si abbattono le emissioni, si creano catene produttive in cui i rifiuti non riciclabili sono inesistenti, si rimette in moto leconomia del luogo, si agisce per democrazia diretta, si (re)insegna ai bambini a risolvere i conflitti, a sentirsi responsabili verso gli altri e lambiente, a uscire dalla logica di un consumismo che porta solo problemi e disuguaglianze.

In serata si torna (ore 21.00) a Porta Portese, via Angelo Bargoni, dove il festival renderà omaggio allartista e fotografo Franco Vaccari (alla sua opera presentata alla Biennale darte di Venezia del 1972: Esposizione in tempo reale N. 4. Lascia sulle pareti una traccia fotografica del tuo passaggio). Sua è l’immagine in bianco e nero del poster di questa edizione del festival, quei mosaici di volti sul muro della Biennale sono improvvisamente diventati attuali e familiari: rimandano alle videochiamate, alle videolezioni, alle videoconferenze di oggi. Di là dal fiume renderà disponibile gratuitamente una macchina per fototessera vintage (fornita dalla ditta DEDEM che è la stessa che da cinquantanni collabora con Vaccari e che realizza e gestisce tutte le cabine per fototessere italiane e non solo) e il pubblico potrà lasciare una traccia della sua partecipazione al festival.

La chiusura (ore 21.30) è affidata a Jacopo Fo, che (sempre in via Angelo Bargoni) presenta il monologo scritto e detto sul palco Ecologia, follia e dintorni. Una conferenza-spettacolo che intende sposare lIronia con la Scienza, al fine di trasmettere alle persone, e soprattutto alle nuove generazioni una certa sensibilizzazione ai temi ambientali, non rimanendo però sul teorico, ma promovendo veri e propri atteggiamenti ecovirtuosi, sperimentati e accertati come metodi innovativi che gravitano in piena sintonia con una vera e propria economia del risparmio”.

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castel porziano, 1: intervento di carlo bordini all’incontro upter del 10 giugno 2019

Carlo Bordini

  Castel Porziano è stato un modo di gestire male (in senso soprattutto spettacolare) il ritorno alla poesia di quell’epoca.

Castel Porziano è del 79, nel periodo più acceso del movimento ribelle giovanile (gli autonomi) che già dopo il 77 cominciava a declinare. Cioè: a girare a vuoto. Ma girava. Moro fu ucciso il 9 maggio 1978. Quello fu l’inizio della fine e quindi Castel Porziano si situa in un momento in cui la contestazione e la ribellione giravano a vuoto. Tra poco sarebbe morto tutto. Politicamente, un frutto in ritardo, molto spettacolare ma già mezzo marcio. Gente esasperata e sconfitta nello stesso momento. Rabbia e depressione, o rabbia depressa.

Berlinguer morì improvvisamente (ci sono anche sospetti) sei anni dopo Moro. Si avvicina, in pieno riflusso, la seconda repubblica. A quell’epoca tutti noi giovani ribelli eravamo contro il compromesso storico tra Moro e Berlinguer. Qualcun altro era contro, purtroppo: anche gli americani e la democrazia cristiana. Senza il “provvidenziale” omicidio Moro forse il corso della storia sarebbe stato un po’ diverso.

Un’altra considerazione politica: la grande ondata rivoluzionaria mondiale, finita poi nel nulla, dura dal 1959 (rivoluzione cubana) al 73 (colpo di stato in Cile). Dal 73 in poi, soprattutto in Italia, una lunga coda di ribellioni in una situazione già persa. Qualcuno ha detto che in Francia il 68 è durato un mese, in Italia dieci anni.

Quindi Castel Porziano nasce a un passo dalla fine di tutto. Ma lasciamo perdere il momento politico e vediamo com’era la situazione della poesia in quegli anni.

Dopo il 68, in cui la contestazione giovanile aveva compresso la cultura tout court, e in cui era importante fare la rivoluzione e non era importante scrivere, negli anni 70 c’è un ritorno alla poesia, con una forte influenza del vissuto. Sullo sfondo figure carismatiche come Amelia Rosselli, Pasolini, ed altre figure di prima grandezza come Pagliarani, Caproni, Roversi e tanti altri. Sullo sfondo il gruppo 63 (ormai sono passati dieci anni) che, pur mantenendo per molti il suo prestigio, appare un po’ ingrassato, un po’ invecchiato. Nascono molti poeti giovani. Continua a leggere