All’esterno dello spettacolo (come della “contemplazione” → anni ’70), forse il problema maggiore comparso con il Novecento nel suo svolgersi è stato proprio questo: il ritorno massiccio del retinico sotto forma di spettacolo. E, in ciò, forse è stato peggiore il secondo “monstrum”: quello appunto spettacolare (frontale, mai obliquo, mai mercuriale, sempre e solo figurativo, mai metamorfico, mai trasfigurativo o defigurativo).
Per questo, e qui dirò qualcosa di relativamente imprevedibile, non è possibile prendere troppo sul serio la stessa pratica dell’asemic writing così come è, per sé. (E peggio ancora in funzione di una ipotetica liberazione dalle pastoie del linguaggio, della semantica: mossa puerile, il più delle volte).
La scrittura asemica a mio modo di vedere ha senso se sottoposta a una sottrazione di percezione connotata, aisthesis, osservabilità-posa, calligrafia, moina, spettacolo.
Ma la sottrazione stessa, ancora, va pensata non in forma museale = daccapo vedibile/vendibile.
Questo è uno scoglio che credo la scrittura asemica debba osservare ed evitare, a vent’anni e più dalla sua “esplosione” come versante artistico diffuso, riconosciuto, condiviso.