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il podcast dell’intervista su “le carte della casa”

L’intervista fatta a MG da Gianluca Garrapa, ieri, 2 gennaio 2021, nel programma Radioquestasera, su PuntoRadioFM, è ascoltabile in podcast qui: https://m.mixcloud.com/QuestaSera/marco-giovenale-consulente-editoriale-editor-estensore-di-materiali-scritti-02012021/

Letture da (e occasioni per) il libro Le carte della casa (Edizioni Volatili, 2020).

Più tre frammenti musicali del 2008.

due aree. post generale, poi personale

1. In sintesi estrema

“Nuovi Argomenti” nasce nel 1953. “Il verri” nel 1956. È del 1957 la polemica aspra fra Pasolini e Sanguineti su sperimentalismo e neosperimentalismo, che si consuma tra le pagine di un paio di numeri della rivista “Officina”.

Da allora e fino a oggi, dunque da quasi 70 anni, la letteratura italiana è spezzata in due.

Dopo qualche circoscritta fortuna einaudiana e feltrinelliana, l’editoria ‘maggiore’ (oggi, meglio: ‘a grande distribuzione’, o forse ‘generalista’) sarà costantemente collocata, o in misura maggioritaria collocabile, nell’area Mondadori Pasolini Sereni eccetera. Scelta fatta. Per una forma sempre ‘rassicurante’.

Sponda – soprattutto dagli anni Ottanta – per la nuova lirica, visceralmente avversa alla sperimentazione, negatrice di tutto quello che succede nel versante della ricerca letteraria, specie se avanzata (e sotto qualsiasi egida, fosse pure universitaria, o artistica, in legame o no con istituzioni come il MoMA o il Centre Pompidou, per dire).

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l’andirivieni. due incontri e relative – separate – annotazioni (cristina annino, carlo selan)


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Il 29 giugno si è svolto, a cura de “La balena bianca”, un incontro online con Cristina Annino. Fra le varie questioni emerse durante gli interventi e il confronto, ho sottolineato per mia memoria una parte in cui l’autrice parlava del suo processo di scrittura, che si realizza attraverso appunti e materiali anche occasionali, poi riveduti elaborati assemblati. Un discorso assolutamente (ed esplicitamente) estraneo all’idea classica di ispirazione, e semmai direi vicino ad alcune modalità compositive di tanta scrittura di ricerca. Se non vicino, non troppo lontano.

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Il 30 giugno, la pagina facebook di “Poesia del nostro tempo” ha realizzato una videointervista a Carlo Selan. Mi è sembrato interessante il suo riferimento al ‘quasi’, all’incompletezza e alla lateralità della parola, convocate o meglio ancora realizzate dalla pagina. Per me personalmente (ma direi che è eredità nodale del Novecento) ha i connotati del fondativo. È la semplicissima ombra ineliminabile anzi precondizione di conoscenza e linguaggio.

Trovavo – così – decisamente singolare, non buffa e però involontariamente allegorica, la situazione per cui – soprattutto a 8′ 30” dalla fine dell’intervista, ossia proprio nel momento in cui quel tema veniva affrontato – il collegamento facebook saltasse caparbio e disturbante, rendendo la comunicazione complicata. (Ma non impossibile, o almeno non impensabile).

Del resto questa ondivaga minaccia o possibilità o effettiva sconnessione si dà pressoché sempre, in tanti tempi e frammenti di tempi, e certo anche con altre piattaforme. Ed è una costante delle linee internet, anche e proprio delle più veloci. Nuovamente: da sempre. Se pensiamo poi che la stessa storia della radio e del telefono ne è tessuta, fatta com’è di “Pronto?” – “Chi? Cosa?” – “Ti sento lontano” – “Mi ricevi?” – “Che dicevi?” – “È disturbato” – “Mi ritorna la voce, c’è eco” – “Passo, non ti sento” – “Sei qui?” – “Ripeti” – “Non ti sento più” – “Se n’è andato”…

Questo interminabile andirivieni e aggiustarsi delle frequenze, delle presenze, dei fantasmi, e la perdita inevitabile e a volte radicale del contatto, oppure la ricomparsa di voci che si davano per disperse, la dissipazione della grana del discorso, il suo sgretolamento e resurrezione, sono non una scoperta del Novecento ma la conferma che il secolo scorso ha avuto il grato ingrato compito di trasformare una dissimmetria e intransitività e opacità dei linguaggi e della conoscenza in qualcosa come una forse non interamente formulabile legge naturale che riguarda tutti.

Né il discorso del glitch è poi così lontano da quanto si va annotando qui. Anzi.

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un fuori sincrono, forse “il”

Rapido accenno allo strepitoso fuori sincrono della nostra letteratura in versi rispetto ad altri segmenti della produzione di senso (tipo: arte contemporanea, tecnologie) su questo pianeta. In questo frangente storico.

Sembra a me che il flarf irriflesso italiano, il materiale poetico kitsch e gioiosamente assertivo che facebook e i blog immettono in rete – specie sotto lo stendardo populista della chiarezza e della “comunicazione” – gareggino con la politica italiana nel mettersi in luce davanti agli storici (e al boato delle risate) che verranno.

Se in Francia, in Olanda, in Svezia, negli USA o in Inghilterra entriamo in un negozio di telefonini o in una galleria d’arte, e facciamo lo stesso in Italia, possiamo avvertire “tra qui e lì” uno scarto di qualche grado di gusto, un gap di qualche mese in avanti o indietro (senza fissità e certezze da storicisti vecchia maniera).

MA se entriamo in libreria lo scarto diventa di trenta-quarant’anni e più.

Ci sono zone della libreria italiana in sincrono con la libreria straniera (i greci, i latini, l’arte, l’architettura, perfino il romanzo), e zone fuori sincrono (la poesia).

Quelle fuori sincrono da noi sono infinitamente imbarazzanti. E – noto – riguardano precisamente il pubblico dei leggenti, perfino la “classe dei colti”.

Gli altri, i lettori occasionali (che pure hanno in tasca un iPhone complessissimo, e magari al cinema sono abituati a trame intricate con effetti 3D, e se vanno al Pompidou o al MoMa non per forza escono urlando di scandalo) sono esclusi anche dall’accedere a questo fuori sincrono. Addirittura a questo.

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la scomparsa di Roberto Roversi

nessuna polemica, ma un bit di suggerimento a (tutti i) giornalisti e blogger: si può anche NON scrivere poeta “bolognese”, o fare (in testa a tutto) i consueti riferimenti a Dalla.

è vero: se c’è stato un poeta legato con passione a Bologna e al suo territorio questo è stato Roversi. e se c’è stata una bella e valida collaborazione fra un poeta e un cantautore è stata quella con Dalla. siamo d’accordo.

è però forse importante ricordare che

(1) un autore – se è grande e RR lo è – non è aggettivabile / localizzabile, e che
(2) RR ha scritto molto, molti testi, molto altro.

[che so, sarebbe bello vedere giornalisti e blogger scrivere “è scomparso il poeta delle Descrizioni in atto” (è un esempio: se ne potrebbero fare molti). sarebbe bello che parlassero delle ristampe che Pendragon ha fatto di molti libri di RR, per esempio. ecco]

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7 segmenti e paragrafi su scritture “dopo il paradigma”

Art instead of being an object made by one
person is a process set in motion by a group
of people. Anything one says comes back
eventually as a mistake. There’s no use in
keeping accounts or records. If it’s
a good idea, it results in a permanent change.

Barrett Watten, Plasma (1979)

(1)

Ipotesi di definizione (perfettibile, già per logica): scritture estensive piuttosto che intensive. Di denotazione, non di connotazione, di oggetti più che di soggetto. (Di oggetti condivisi più che di soggetto dettante).

Scritture che hanno a disposizione sia un set o molti set di procedure, sia il comune handwriting. (O l’ascolto, il riuso, la citazione, l’assemblaggio eccetera).

§

(2)

Si potrebbe (o dovrebbe poter) dire che un titolo (di merito, anche) può essere:

poter prescindere dai ‘picchi’ di senso

(Di fatto, il senso è intenzionato dal lettore, il quale dunque è libero e non deve ammirare pose plastiche altrui). (O pose sadiane, tutte contro di sé).

Anche: sfrondando determinate isotopie o ricorrenze in un testo che pure le presenta, quel testo rimane o può (=è capace di) rimanere ugualmente godibile. Di per sé. Le isotopie non lo “giustificano”. (Possono certo essere ricchezze ulteriori, sì). (È forse qui il vecchio paradigma che avvalora coi propri ‘mezzi’ il nuovo).

§

(3)

Un classico delle divertenti vicende del paranormale: il registratore acceso nella stanza vuota cattura i bubbolii il respiro i soffi o la voce franca del fantasma. Continua a leggere

novissimi in soggettiva

Mi rendo conto di aver risposto solo parzialmente, perché in modo (contortamente) non-soggettivo, alla domanda del «verri» (n. 47, ott. 2011, pp. 16-18) su Avete letto i Novissimi?

Riprendo dunque il filo-parola velocemente per sintetizzare … in maniera più soggettiva (su blog, non a caso) e dire, se possibile a bassissima voce (in grigio), quanto segue:

– a 16/17 anni (siamo quindi tra l’85 e l’86) a mettermi più robustamente in una linea e desiderio di ricerca furono innanzitutto – come m’è capitato di dire più volte – Eliot e Montale (dunque sorvolo qui su nomi nodali per me come Cortàzar e Borges; resto ai versi);

– immediatamente la necessità è stata quella di una (qualche forma di) alterazione, alterità; penso di essermi, in questo, scavato una via obliqua indipendente, anche grazie ai sette o otto anni di pressoché completo silenzio che – fino al 1998 – mi sono imposto di interporre tra me e tanta parte degli scriventi e leggenti che a Roma in quegli anni si muovevano;

– quando in quegli stessi anni mi sono imbattuto per più strade e frammenti nelle scritture della neoavanguardia (che sentivo non così lontane, affatto, dalle Descrizioni in atto roversiane che dal 1990 leggevo); ho semplicemente detto a me stesso: «ecco, precisamente»;

– ho cioè avvertito, percepito, constatato, che quella via indipendente che pensavo per me valida assai assomigliava a quella di un’altra generazione, a me non vicina, o non vicinissima;

– sono gli stessi anni sono delle letture di Rosselli (e frequentazione di suoi reading) e Zanzotto;

– non troppo più tardi avrei letto/riletto Cagnone e Mesa; queste ultime annotazioni rendono più complesso, per non dire “esploso”, il quadro, tante sono le differenze tra le scritture citate; (e tanto differente, penso, risulta quello che a me è capitato poi di dire, poter dire).