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Bologna, 17-18-19 maggio: festival 7 di DeriveApprodi
➻ Il festival organizzato dalla casa editrice DeriveApprodi, in collaborazione con la rivista Machina e la libreria Punto Input, arriva alla sua settima edizione.
- >> Il decennio in cui il «post» è diventato fine della storia. Prima Thatcher aveva decretato che non esiste la società, esistono solo gli individui. Ora, un consigliere di corte americano annuncia che il destino ineluttabile di tutti gli individui del mondo è la società capitalistica. Il passato è scomparso, scordatevi il futuro: godetevi un eterno presente, privo di radici e prospettive, senza possibilità di modificarlo. Invece la storia non è mai finita. Gli anni Novanta vivono tra guerra, globalizzazione e nuovi movimenti, tra lavoro autonomo, flessibile e precario, tra femminilizzazione del linguaggio e nuovi femminismi, tra migrazioni di massa e rivolte urbane, tra berlusconismo e leghismo, tra «rivoluzione» informatica e crisi della fantascienza, tra musica e satira, tra Tarantino e Virilio, tra iperindustrializzazione del calcio e della pornografia, tra impresa sociale e centri sociali. Gli anni Novanta vivono di contraddizioni, salti in avanti e indietro, aperture e chiusure. Un decennio da studiare e da ripercorrere, per trovare lì la radice dei problemi aperti del presente.
- >> Di seguito il programma:
mercoledì 15 maggio, al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, tavola rotonda sulle …scritture irregolari
mercoledì 15 maggio – alle ore 17:00
presso il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
(P.le Aldo Moro 5, Roma – Palazzo del Rettorato)
tavola rotonda su
Parole in cammino. Scritture brut e asemiche,
graffiti urbani, poesia visiva…
nel contesto della mostra Scritture erranti
a cura di Gustavo Giacosa
intervengono
Claudio Zambianchi, Tommaso Pomilio,
Ada De Pirro, Marco Giovenale, Gustavo Giacosa
_
[r] _ ma no, ma no, ma ni, non è morta, la poesia, su
coraggio, editorialisti e notillatori, in rete e fuori, non prendete per forza alla lettera la grigiorosea parola postpoesia: non v’impauri, campioni.
la poesia non defunse, anzi della sua viridescente vis voi siete – è fama – i promoter più scafati e, mi si consenta, fichi.
è stagione, tuttavia, che dai vostri castelli vitivinicolmente muniti oscilliate il benigno capo a far sonare il sì, a testimoniare – intendo – che nelle vostre medesime letture tante tante volte v’è occorso di non incontrare il vocabolo che amate, ossia la non-morta poesì (avvezza a resurgere ogni minuto), bensì qualche altro lemma, diverso, divergente, che magari con la suddetta non aveva accidente alcuno da spartire. (obstupescit reader).
facendo mente locale:
epiphanies (James Joyce 1900-1904), tender buttons (Gertrude Stein 1914), tropismes (Nathalie Sarraute 1939), notes (Marcel Duchamp, pubbl. post. 1980), nioques (Francis Ponge 1983, Jean-Marie Gleize), proêmes (Ponge), textes pour rien (Samuel Beckett), antéfixes o dépôts de savoir & de technique (Denis Roche), descrizioni in atto (Roberto Roversi), verbotetture (Arrigo Lora Totino 1966), bricolages (Renato Pedio), domande a risposta multipla (John Ashbery; e cfr. Alejandro Zambra, nel nostro secolo), mobiles o boomerangs (Michel Butor), visas (Vittorio Reta), postkarten (Edoardo Sanguineti 1978), sentences (Robert Grenier 1978), subtotals (Gregory Burnham), films (Corrado Costa), schizografie (Gian Paolo Roffi), drafts (Rachel Blau DuPlessis), esercizi ed epigrammi (Elio Pagliarani), frisbees (Giulia Niccolai), anachronismes (Christophe Tarkos), remarques (Nathalie Quintane), ricognizioni (Riccardo Cavallo), anatre di ghiaccio (Mariano Bàino), lettere nere (Andrea Raos), linee (Florinda Fusco), ossidiane e endoglosse e microtensori e “installances” (Marco Giovenale 2001, 2004, 2010, 2010), tracce (Gherardo Bortolotti 2005), prati (Andrea Inglese), diphasic rumors (Jon Leon 2008), united automations (Roberto Cavallera 2012), paragrafi (Michele Zaffarano 2014), incidents (Luc Bénazet 2018), sentences (Cia Rinne 2019), defixiones (Daniele Poletti), avventure minime (Alessandro Broggi), développements (Jérôme Game), conglomerati (Andrea Zanzotto), saturazioni (Simona Menicocci), nughette (Leonardo Canella), sinapsi (Marilina Ciaco), dottrine (Pasquale Polidori), disordini (Fiammetta Cirilli), spostamenti (Carlo Sperduti), spore (Antonio F. Perozzi). E aggiungerei le frecce di Milli Graffi.
veh, quante cose si posson leggere gioendo, senza per questo ammazzare la P maiuscola. come dite? ciò purtuttavia vi noia?
ah ma ecco allora perché Emilio Villa così parsimoniosamente o punto pregiate, e v’irrita.
invece che poesie ha scritto “cause”, “variazioni”, “attributi”, “phrenodiae”, “méditations courtes”, “videogrammi”, “letanie”, “sibille”, “trous”, “labirinti”, “tarocchi”, … tutte forme disperse come, già nel 1949, i suoi “sassi nel Tevere”.
è una litofobia, la vostra, ora intendo.
_
messaggi ai poeti / utili sussidi / vediamo se riesco a spiegarmi (con un cb ennesimo eccetera)
ma poi l’avete capita questa differenza tra talento e genio, questa faccenda dei SIGNIFICANTI, o CB deve resuscitare e farvi un disegno?
“messaggi ai poeti”, “utili sussidi” e “vediamo se riesco a spiegarmi” erano e sono tre tag sotto cui ho cercato anzi cercai (a vuoto) di versare la cognizione della centralità di talune quistioni di base nella meninge dell’italo medioscrivente.
ah, e poi ancora:
carmelo bene: frammento audio su io e soggetto (dell’inconscio) nel libro “‘l mal de’ fiori”
“et toute votre vie on dira: le poète” (denis roche)
Denis Roche, lors de la sortie du volume La poésie est inadmissible, au Seuil, déclarait ceci à Arnaud Viviant dans Libé : «Et j’ai toujours trouvé saugrenu qu’on ne dise pas d’un poète que c’est un écrivain. Au fond, c’est très étrange. Si vous écrivez un seul roman dans votre vie, nul ne songe à vous appeler romancier. Mais faites un livre de poésie, et toute votre vie on dira: le poète. C’est une des choses que je trouve débilitante dans ce qu’est devenue la poésie, depuis le romantisme probablement. Une espèce de label, relevant très nettement du statut social, et qui vous est octroyé sur un mode toujours sublimé, augmentatif. Pourquoi un exposant aussi valorisateur est-il attaché à cette pratique littéraire? Lorsque vous voyez des hommes politiques en campagne qui, sous prétexte qu’ils sont consultés dans une émission littéraire, prennent des airs ravis, les yeux à demi-clos, pour parler de poésie, on est encore dans ce statut-là. Oui, à cet exercice-là est attaché quelque chose qui est de l’ordre de la décoration sociale. Qu’elle soit devenue cela est une des choses qui me font dire que la poésie est inadmissible.»
merci, Charles Pennequin :
https://www.facebook.com/charles.pennequin/posts/pfbid02QwTpGXMf7GYhyRHFpZFnyyCXxP62Ti1r7y977SSbM3dAHiyN65YfEmdDmM3LQuksl
video completo della presentazione di “statue linee” (pièdimosca, 2022) @ la finestra di antonio syxty, 22 gen. 2024
*
informazioni ed elementi:
https://slowforward.net/2022/12/09/link-e-materiali-da-per-statue-linee-piedimosca-edizioni-2022/
il libro:
https://www.piedimoscaedizioni.com/catalogo/collane/glossa/statue-linee/
per ordini online:
piedimoscaedizioni@gmail.com
(oppure mannaggialibreria@gmail.com)
ricerca letteraria come “evento aprente”. un appunto a proposito degli anni settanta (dall’incontro di ieri sulla “letteratura circostante”)
In attesa di proporre l’audio dell’intervento completo:
[…] Detto in poche parole: a partire soprattutto dalla fine degli anni Sessanta (ovvero dalla fine del primo decennio di quello che continuo a chiamare e ritenere un cambio di paradigma), le complessità e le articolazioni delle scritture poetiche e in senso ampio creative hanno messo i poeti (o coloro che tali intendevano essere) in condizione di estrema difficoltà. Alcune generazioni, per via dell’accelerazione degli stimoli culturali e per il senso di soffocamento dato dalle urgenze storico-politiche, si sono trovate in una condizione di impasse (o proprio schiacciamento) tra la necessità o insomma il desiderio (aggiungerei: spesso infantile o adolescenziale) di aderire al modello dato dall’onda lunga del Romanticismo (e, azzarderei, del petrarchismo lessicale) e la realtà ipercomplessa e infinitamente frammentata della contemporaneità.
Come fa a scrivere, e cosa scrive, un io che non solo non ha la “i” maiuscola, ma è scisso in particole, e le cui schegge sono circondate da un contesto e discorso culturale e storico estremamente complesso, vasto, articolato?
(Un solo esempio: nell’arco di appena sette anni, tra il 1967 e il 1974, escono ben cinque opere capitali e rivoluzionarie di Jacques Derrida: La voce e il fenomeno, Della grammatologia e La scrittura e la differenza nel 1967, Margini nel 1972, Glas nel 1974).
Poteva porsi aproblematicamente in sintonia con questo stato di cose la generazione che aveva vent’anni, o poco più, nell’arco di tempo che va dalla fine degli anni Sessanta alla fine dei Settanta? Si collocava in quel tratto storico una disponibilità, una apertura, un varco – diciamo – praticabile per i giovani scrittori, che non fosse quello della forbice aperta tra euforia e disforia (seguendo il suggerimento di Gianluigi Simonetti in La letteratura circostante), tra verbalizzazione immediata, diciamo a volte naif, e ricaduta nelle forme chiuse ossia nell’ormai vecchio istituto delle forme propriamente letterarie (blindate nel comparto Letteratura)?
I termini della reazione di quelle generazioni allora possono forse non essere stati semplicemente quelli del rifiuto, ma del rifiuto che maschera un colossale senso di inadeguatezza, probabilmente fondato. Se nel 1971 Dario Bellezza a 27 anni pubblica Invettive e licenze e un contesto letterario lo accetta senza il minimo imbarazzo e ne fa addirittura un punto di riferimento (ritenuto valido addirittura oggi), è perché difficilmente sia il poeta sia il contesto sarebbero stati in grado di sorridere troppo davanti ai propri sentimenti di impotenza e inadeguatezza, appunto. Sentimenti che reagivano ai ben diversi materiali letterari che arrivavano dal «verri» fin dal 1956, e da «Tel Quel» dal 1960.
A mio modo di vedere sarebbe stato necessario, come in tutti i sistemi sottoposti a tensione, un lungo tempo di elaborazione per vedere qualcuno appropriarsi dei materiali di quegli anni. Per certi aspetti, l’entità che prese subito familiarità con la situazione e addirittura la spostò dal piano storico al piano – direi – antropologico (generale) fu il teatro di ricerca, su cui non ci soffermeremo. Ma altre cose accadevano negli anni Settanta. Cose che ci riportano ai nomi di Corrado Costa, Giulia Niccolai, Adriano Spatola, e a molti altri, in grado di misurarsi nell’immediato con quanto andava producendosi.
Ci sono stati cioè intellettuali, poeti e scrittori, che della complessità e della ricerca letteraria hanno fatto sfida e necessità e non vi hanno rinvenuto affatto schiacciamenti inaccettabili, soffocamento, inadeguatezza, margine, inabitabilità.
Si è trattato di autori che, vedendo nella neoavanguardia non necessariamente un’esperienza vincolante ma al contrario un evento aprente, si sono misurati con la scrittura della complessità, con la frammentazione, oltre che con la fantasia, anche, delle interazioni tra codici: letteratura, arti visive, materiali verbovisivi, musica sperimentale, e addirittura “scrittura asemantica” (così Gillo Dorfles a proposito di Irma Blank, nel 1974).
Se ne è parlato e se ne parlerà.
[…]