Secondo momento del ciclo di tre corsi a contatto diretto con le voci più significative della poesia contemporanea. In questo corso, autori nati tra gli anni ’60 e i ’70, con una storia letteraria consolidata ma ancora in piena attività, faranno il punto sullo stato attuale della loro opera, con un occhio alle prospettive future.
Con Laura Pugno, Stefano Dal Bianco, Alessandra Carnaroli, Guido Mazzoni, Maria Grazia Calandrone, Gherardo Bortolotti
Un testo poetico, al di là del contesto sociale e culturale in cui è inserito, possiede delle caratteristiche proprie, delle variazioni su strutture tematiche, stilistiche, metriche e ritmiche che lo rendono un micromondo da indagare con strumenti di analisi testuale, di cui cui questo corso fornirà un’applicazione rigorosa ad alcuni testi esemplari.
Testi di Eugenio Montale, Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti, Vittorio Sereni, Franco Fortini, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Andrea Zanzotto, Emilio Villa, Corrado Costa, Amelia Rosselli, Elio Pagliarani, Giancarlo Majorino, Roberto Roversi, Giuliano Mesa, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Umberto Fiori, Mario Benedetti, Antonella Anedda, poesia verbovisiva e performativa, poesia in prosa. Letti e commentati da Maria Borio, Gian Luca Picconi, Stefano Colangelo, Niccolò Scaffai, Giovanni Fontana, Marco Giovenale.
Nel panorama dei grandi scrittori e intellettuali italiani del XX secolo, Roberto Roversi è stato uno dei pochi a fare della sua stessa vita il manifesto delle sue scelte politiche e culturali, mantenendosi nell’ombra per poter operare in totale autonomia dall’industria culturale. L’allestimento da parte di una giovane compagnia teatrale del suo testo inedito La macchia d’inchiostro diventa un’occasione unica per compiere una ricerca dentro la stessa “macchia” che è stata posta sulla sua immagine pubblica.
Dietro agli stereotipi si nasconde l’inesausta attività di un uomo, un poeta che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca di vie alternative, libere e indipendenti per fare cultura.
quando si parla di postpoésie ci si può innanzitutto porre all’esterno del rigido circo dei generi letterari; e inoltre risulta del tutto legittimo parlare di qualcosa che implica e assume non soltanto altri abiti, forme, inflessioni, dimensioni, profili, ma infine identità: altri nomi. e idiomi. (si può e forse si deve dire che la dimensione idiomatica qui sopravanza tutte le altre).
quali sono questi altri nomi? questi oggetti verbali non identificati?
(non dico “nuovi”, dico “altri”). (anche se in Italia tutto sembra voler manifestarsi come nuovo, perché perfino la DC ha fatto in tempo a morire ma le forme dell’assertività letteraria ancora reggono).
epiphanies (James Joyce 1900-1904), tender buttons (Gertrude Stein 1914), tropismes (Nathalie Sarraute 1939), notes (Marcel Duchamp, pubbl. post. 1980), nioques (Francis Ponge 1983, Jean-Marie Gleize), proêmes (Ponge), textes pour rien (Samuel Beckett), antéfixes o dépôts de savoir & de technique (Denis Roche), descrizioni in atto (Roberto Roversi), verbotetture (Arrigo Lora Totino 1966), bricolages (Renato Pedio), domande a risposta multipla (John Ashbery; e cfr. Alejandro Zambra, nel nostro secolo), mobiles o boomerangs (Michel Butor), visas (Vittorio Reta), postkarten (Edoardo Sanguineti 1978), sentences (Robert Grenier 1978), subtotals (Gregory Burnham), films (Corrado Costa), schizografie (Gian Paolo Roffi), drafts (Rachel Blau DuPlessis), esercizi ed epigrammi (Elio Pagliarani), frisbees (Giulia Niccolai), anachronismes (Christophe Tarkos), remarques (Nathalie Quintane), ricognizioni (Riccardo Cavallo), anatre di ghiaccio (Mariano Bàino), lettere nere (Andrea Raos), linee (Florinda Fusco), ossidiane e endoglosse e microtensori e “installances” (Marco Giovenale 2001, 2004, 2010, 2010), tracce (Gherardo Bortolotti 2005), prati (Andrea Inglese), diphasic rumors (Jon Leon 2008), united automations (Roberto Cavallera 2012), paragrafi (Michele Zaffarano 2014), incidents (Luc Bénazet 2018), sentences (Cia Rinne 2019), defixiones (Daniele Poletti), avventure minime (Alessandro Broggi), développements (Jérôme Game), conglomerati (Andrea Zanzotto), saturazioni (Simona Menicocci), nughette (Leonardo Canella), sinapsi (Marilina Ciaco), dottrine (Pasquale Polidori), disordini (Fiammetta Cirilli), spostamenti (Carlo Sperduti), spore (Antonio F. Perozzi). E aggiungerei le frecce di Milli Graffi.
senza contare le infinite modalità (perlopiù elencative) messe su pagina da Perec (le cartoline e le passeggiate raccolte nell’Infra-ordinaire, o le stringhe di Je me souviens). durante una conversazione, tempo fa Luigi Magno ha suggerito di pensare alle stesse cancellature di Isgrò come a dispositivi di questo tipo, oltretutto in forma di ponte fra la scrittura e l’arte. per tacere, in tal senso, delle innumerevoli soluzioni disseminate nel tempo da Emilio Villa: “cause”, “variazioni”, “madrigali”, “attributi”, “phrenodiae”, “méditations courtes”, “videogrammi”, “letanie”, “sibille”, “trous”, “labirinti”, “tarocchi”, … (tutte forme disperse come, già nel 1949, “i sassi nel Tevere”).
Ancora fino alle 23 di oggi, 13 giugno, a modicissimo prezzo, si può vedere La macchia d’inchiostro, regia di Ciro Valerio Gatto. Doc/Fiction – Italia, 2021, 60′ – Anteprima Mondiale. Lingua: Italiano
A quarant’anni dalla stesura, un testo teatrale viene riscoperto; ed è l’occasione per parlare anche, e ampiamente, del suo autore: Roberto Roversi.
In collaborazione con DAR – Dipartimento delle Arti visive, performative e mediali dell’Università di Bologna
Nel panorama degli scrittori italiani del secondo Novecento, Roberto Roversi è stato uno dei pochi a fare della sua stessa vita il manifesto delle sue scelte politiche e culturali, mantenendosi nell’ombra per poter operare in totale autonomia dall’industria culturale. L’allestimento da parte di una giovane compagnia teatrale di un suo testo inedito, mai prima messo in scena, è un’occasione unica per compiere una ricerca dentro la “macchia” di silenzio che è stata posta sulla sua immagine pubblica.
Forse non lo riscriverei così, o non parola per parola, ma insomma rivedendo questo articolo del 2005 trovo che ha forse qualche numero per risultare ancora utile. Era uscito su “YIP” nel 2003 e poi in Italianistica On Line (26 maggio 2005): http://www.italianisticaonline.it/2005/poesia-e-oggetto-estetico/
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Quando nel testo poetico entrano, a fare struttura, inaggirabili, flussi di cifre, cartine, calchi paleografici, oggetti, video, voci, e ancora differenti elementi “estranei”; e se questo accade nell’arco non di pochi anni, ma per decenni ricodificandosi – regola o eccezione – in autori distantissimi tra loro; allora metro e ritmo, come sintassi e spezzatura, possono e forse devono sentirsi chiamati a un lavoro di ridefinizione e discussione, e di confronto anche mediato – ma inevitabile – con le arti. Questo lavoro, per il secondo Novecento, non è forse neppure agli inizi.
Se la pagina 11 del Conte di Kevenhüller è la riproduzione anastatica di un avviso settecentesco; se le opere di Zanzotto sono costellate di disegni, frecce, abrasioni; se quasi l’intero lavoro di Emilio Villa è uno stemma di sconfinamenti e sovrascritture reciproche fra le arti; se – oggi – un “riporto” epigrafico conclude il poemetto Spostamento, di Giovanna Frene; (per tacere – ma perché tacere? – di decenni di poesia concreta, o delle esperienze di riviste come «Testuale» e «Anterem»); può essere ancora pensata – e come? – una diversa mappa della metrica del secolo ormai concluso? E poi: della sola metrica?
In verità molti parametri sono inadatti a toccare e descrivere cento anni di letteratura segnati già dal principio dai gesti di Tzara, o dalla voracità inclusiva e anarchica dei Cantos. Le opere-mondo sono così, funzionano così. Continua a leggere→
“Nuovi Argomenti” nasce nel 1953. “Il verri” nel 1956. È del 1957 la polemica aspra fra Pasolini e Sanguineti su sperimentalismo e neosperimentalismo, che si consuma tra le pagine di un paio di numeri della rivista “Officina”.
Da allora e fino a oggi, dunque da quasi 70 anni, la letteratura italiana è spezzata in due.
Dopo qualche circoscritta fortuna einaudiana e feltrinelliana, l’editoria ‘maggiore’ (oggi, meglio: ‘a grande distribuzione’, o forse ‘generalista’) sarà costantemente collocata, o in misura maggioritaria collocabile, nell’area Mondadori Pasolini Sereni eccetera. Scelta fatta. Per una forma sempre ‘rassicurante’.
Sponda – soprattutto dagli anni Ottanta – per la nuova lirica, visceralmente avversa alla sperimentazione, negatrice di tutto quello che succede nel versante della ricerca letteraria, specie se avanzata (e sotto qualsiasi egida, fosse pure universitaria, o artistica, in legame o no con istituzioni come il MoMA o il Centre Pompidou, per dire).
TU PARLAVI UNA LINGUA MERAVIGLIOSA. QUANDO LA CANZONETTA DIVENNE POESIA
“Un’avventura straordinaria della poesia e della canzone italiane degli anni Sessanta e Settanta.
Poeti e scrittori come Italo Calvino, Franco Fortini, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e poi Roberto Roversi, cominciano a ragionare intorno alla necessità di utilizzare la canzonetta leggera, la musica, il mercato del vinile, per creare prodotti di altissima qualità e popolari insieme.
Fondare una canzone d’autore capace di raccontare il reale e di parlare del mondo e degli uomini. Una canzone leggera, ma non necessariamente sciocca.
Siamo agli albori della storia della canzone autoriale”.
Grazie a LAZIOcrea e alla Regione Lazio che hanno sostenuto la realizzazione dell’evento…
Un ringraziamento davvero speciale a Massimiliano Valeriani, che ha creduto nell’idea e l’ha sostenuta!
(e non nascondo che mi fa piacere che contenga un mio testo da Oggettistica, oltre a una ‘fotografia’ di una possibile bibliografia di e su Roberto Roversi, per come poteva apparire nel 1999-2000)