Per certi aspetti sembra che il sistema immunitario del mainstream, che negli anni Ottanta (per via della vastità delle ricerche letterarie ancora in corso dagli anni Settanta) aveva reagito in ritardo contro la sperimentazione 1963–71–77, si sia invece con gli anni Duemila attrezzato per sovra-reagire, con buona prontezza, e già dal 2003 circa, contro interventi anche minimi, iniziative, incontri, materiali che potevano uscire su vari blog, Splinder e Blogspot, o su Nazione indiana, Absolute poetry, gammm, poi alfabeta2 eccetera; o contro libri come Prosa in prosa (2009).
Dal 2009 in avanti direi che autori, editori e critici mainstream o sottoboschivi, concordi, non abbiano fatto altro che alzare il tiro, e ridimensionare ogni centimetro possibile del territorio sperimentale. (Che infatti attualmente può contare solo su quattro-cinque collane o editori).
Già su un piano primario, quello lessicale, si può dire che è da definire oggettiva l’opposizione, nel corso degli anni, a un discreto numero di espressioni e ipotesi critiche: “scrittura di ricerca” (da taluni deformata insistentemente in poesia di ricerca), “cambio di paradigma”, “non-assertività”, “scritture installative”, “post-poesia”, “letteralismo”, “prosa in prosa” (intenzionalmente misinterpretata e normalizzata come poesia in prosa).
Questo, fino a negare l’evidenza. Fino, cioè, a negare che gli anni più vicini a oggi abbiano visto non un attenuarsi ma uno stabilizzarsi e perfino crescere delle scritture non allineate, e della loro varietà. (Pensiamo solo all’exploit di Tic Edizioni, recentissimo). Dire che la sperimentazione al principio degli anni Venti del XXI secolo stia ripiegando le vele mi sembra una grossa imprecisione, eufemisticamente. Anche solo pensando al lavoro su autori nodali del passato che Diaforia (Agnetti, Spatola, Diacono) e Argo (Villa, Costa) hanno fatto e fanno con alacrità.
Al contrario, le vele sono tutt’altro che ammainate. Solo (ed è tantissimo) editoria e accademia pensano ad altro.