lo sdoganamento del rondone passa, dunque, anche per Quodlibet, vedo, rammaricandomene: https://www.quodlibet.it/libro/9788822924780
vivissimi complimenti alla casa editrice.
lo sdoganamento del rondone passa, dunque, anche per Quodlibet, vedo, rammaricandomene: https://www.quodlibet.it/libro/9788822924780
vivissimi complimenti alla casa editrice.
Yesterday, the U.S. representative of The Hind Rajab Foundation, Jake Romm, presented at the final session of the Gaza Tribunal in Istanbul (23–26 October) — a people’s tribunal bringing together scholars, legal experts, civil society, activists, and students to create a record of and pass popular judgement on Israel’s in .
Romm stressed the need for states to undertake prosecutions in their national courts, stating:
“Action — by which I mean: the arrest, prosecution, and punishment of all of those who have perpetrated or are complicit in this genocide — and nothing less, is our demand. It is my sincere hope that, one day, these trials will take place in the courtrooms of a free Palestine, before Palestinian judges, before a Palestinian jury. That will be true justice. But until then, it is the legal obligation of every state in the world to prosecute the Israel genocidaires wherever they may be found.”
Watch the full contribution here: https://youtu.be/Aw60QqsX5-Y?t=21106
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Join the Hind Rajab Foundation’s legal mission to fight impunity. Become a monthly sponsor or make a one-time gift. Every contribution comes from individuals who care → https://www.hindrajabfoundation.org/donate
da MicroMega:
continua qui: https://www.micromega.net/la-rivoluzione-nasce-al-bar-fare-politica-tra-i-tavolini
(grazie a Daniela Rossi per la segnalazione)
ovviamente le immagini sono ferme, in questo post, a cinque mesi fa:
oggi, 15 ottobre, la distruzione è enormemente più grave, estesa, e non sembra interrompersi.
e comunque complimenti al Premio Liquore di poesia, che apre la serata della premiazione, l’8 ottobre, con le poesie palestinesi, e però è finanziato da Bper, banca che con SGR Arca Fondi ancora al 31 luglio deteneva “titoli di guerra” israeliani per 195 milioni di euro.
https://www.facebook
.com/share/v/17511XUPKJ/
https://altreconomia.it/le-banche-e-i-titoli-di-guerra-israeliani-il-caso-dellitaliana-bper/
#premiostregapoesia
#genocidio
#Gaza
#Palestina
ricevo da ultima generazione e volentieri condivido:
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Sabato 11 Ottobre in tutta Italia abbiamo segnato il via al boicottaggio dei supermercati. Ci siamo ritrovati per celebrare a Roma, Torino, Milano e Bologna. Tra tavoli imbanditi, musica, chiacchiere e cibo condiviso, abbiamo respirato la possibilità concreta di un altro modo di vivere. Chi ha portato cibo, chi il tempo di ascoltare e chi la voce per tracciare una visione. In queste piazze abbiamo ritrovato la forza del mutuo aiuto, la gioia dello stare insieme e la consapevolezza che ogni gesto può essere politico. Abbiamo riscoperto che boicottare non significa solo rinunciare. Significa ripensare le relazioni tra di noi ma soprattutto con chi produce, è un atto collettivo di liberazione e costruzione. Con noi infatti c’erano alcune delle realtà che hanno aderito al boicottaggio. Perché non siamo da soli in questo boicottaggio: oltre alle 65.000 persone che boicottano, in questo cammino ci accompagnano realtà che si occupano di agricoltura alternativa, di sovranità alimentare e di economia solidale. Boicottare il consumo significa rompere l’automatismo che ci lega a un sistema che devasta il pianeta, sfrutta le persone e distrugge il senso di comunità. Ogni euro speso alimenta un modello che mette il profitto prima della vita. Queste alleanze rafforzano la nostra capacità di mettere pressione sul governo affinché si attivi ad aiutare la popolazione invece di privilegiare le lobby delle armi e dell’agroalimentare. Boicottare non è un gesto individuale: è una scelta collettiva che cresce solo se la si pratica insieme, sostenendosi a vicenda, resistendo allo stesso tempo all’isolamento e alla solitudine. Riusciremo a farlo crescere, sabato dopo sabato, e diventerà uno strumento di pressione fortissimo: un segnale chiaro a chi governa e alle aziende che vogliamo un cambiamento reale. Nel frattempo, grazie per aver deciso di farne parte e boicotta anche sabato prossimo. |
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P.S.: qui l’elenco completo delle associazioni che aderiscono al nostro boicottaggio. |
https://www.facebook.com/share/v/17W7L3WNyi/
the Arab States and their betrayal.
the isolation of the Palestinian people.
the ‘edited’ agreement: the UN one was different from the actual White House one.
Paolo Consiglio (da https://www.facebook.com/share/1D7QB2pHbL/)
Ramallah e Khan Younis, oggi, nel totale silenzio delle TV occidentali, tornano i prigionieri palestinesi, ma non c’è più una casa dove tornare.
Mentre i media celebrano il ritorno degli ostaggi israeliani, a Ramallah e Khan Younis migliaia di palestinesi escono dalle carceri israeliane dopo anni di detenzione amministrativa. Li aspettano le rovine, non le telecamere.
A Ramallah e Khan Younis la folla si è riversata per le strade come un fiume umano. Madri che piangono, fratelli che si stringono, figli che non ricordavano più il volto dei propri padri. Sono le prime immagini che arrivano dopo la liberazione di oltre 1.700 prigionieri politici palestinesi, rilasciati da Israele nell’ambito della tregua seguita al cessate il fuoco.
Sono tornati in patria accolti come eroi, come fratelli, come figli perduti.
Hanno passato anni nelle carceri israeliane, spesso senza processo, senza accuse formali, in quella che le organizzazioni internazionali definiscono “detenzione amministrativa”: un limbo legale dove la libertà è sospesa e il diritto non esiste.
Eppure, di loro, quasi nessuno parla.
Mentre i telegiornali occidentali trasmettono in loop le immagini degli ostaggi israeliani liberati, sorridenti e assistiti dalla Croce Rossa, i prigionieri palestinesi vengono scaricati dai pullman in mezzo a una folla commossa, ma invisibile agli occhi del mondo. Nessuna intervista, nessuna visita medica documentata, nessun servizio speciale.
Il silenzio mediatico è assordante.
La differenza di trattamento è lampante: gli ostaggi israeliani vengono accolti come simboli di libertà, i palestinesi liberati come sospetti, come ombre. Ma molti di loro non hanno mai imbracciato un’arma: sono giornalisti, studenti, attivisti, madri, ragazzi arrestati durante manifestazioni.
Hanno trascorso anni dietro le sbarre senza sapere di cosa fossero accusati.
E ora che tornano, non trovano più una casa.
Perché le loro case sono diventate macerie. Le strade dove giocavano da bambini non esistono più. Molti dei loro familiari sono morti nei bombardamenti. La Striscia di Gaza è un cimitero di polvere e macerie, non un luogo dove ricominciare.
Eppure il mondo applaude altrove.
Il doppio standard occidentale è diventato insopportabile:
per gli uni ogni parola è compassione, per gli altri ogni parola è sospetto.
Si parla di “ostaggi israeliani” con toni commossi, e di “prigionieri palestinesi” con distacco tecnico. Ma la verità è semplice: molti di questi prigionieri sono considerati da organizzazioni per i diritti umani ostaggi di un’occupazione militare, vittime di un sistema che usa la detenzione preventiva come strumento politico.
E allora, guardando le immagini che arrivano da Ramallah e Khan Younis, non si può restare indifferenti.
Quella folla che grida e piange non celebra la vendetta, ma la sopravvivenza.
Ogni abbraccio, ogni lacrima, ogni gesto di vittoria è un atto di resistenza alla disumanizzazione.
Perché la libertà — quella vera — non ha confini, né appartenenze.
Ha solo un volto: quello di chi, uscendo da una prigione, rivede il cielo.
Eppure, anche oggi, nei notiziari italiani non c’è spazio per loro.
Perché raccontarli significherebbe riconoscere che la giustizia non è uguale per tutti.
E questa, in tempi come questi, sembra essere la verità più indicibile di tutte.
Paolo Consiglio
Fonti principali:
– Al Jazeera English, 13 ottobre 2025: “Thousands gather in Ramallah and Khan Younis to welcome released Palestinian detainees.”
– Reuters, 13 ottobre 2025: “Israel releases over 1,700 Palestinian prisoners amid ceasefire deal.”
– Haaretz, 13 ottobre 2025: “Families of Palestinian detainees celebrate their return as media focus remains on Israeli hostages.”
– Ufficio ONU per gli Affari Umanitari (OCHA): “Humanitarian Situation Report – Gaza and West Bank, ottobre 2025.”
– Addameer Prisoner Support and Human Rights Association: dati aggiornati sulle detenzioni amministrative israeliane.
non è così assurdo pensare che se domani gli usa e israele legalizzassero & normassero il … → continua qui
da un post su fb di Sergio Costa
È stato presentato alla Camera il Rapporto GIMBE sulla sanità. I numeri sono impietosi e raccontano una tragedia italiana. Quasi 6 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi. Non per scelta, ma perché non possono permetterselo.
Ecco la verità nascosta (dietro i comunicati del governo):
• Su ogni 100 euro spesi per la sanità, 26 euro escono dalle tasche dei cittadini
• L’87% di chi paga di tasca propria lo fa senza assicurazioni
• Entro il 2028 mancheranno 13 miliardi di euro per garantire ospedali e ambulatori
Il governo ha programmato il definanziamento: la quota di PIL destinata alla sanità scenderà dal 6,1% al 5,8% entro il 2028, con un buco di 13,4 miliardi.
Questa è privatizzazione per abbandono. Non serve chiudere gli ospedali pubblici con un decreto. Basta lasciarli morire lentamente: senza soldi, senza personale, senza speranza. Poi arrivano le cliniche private a fare profitti sulla disperazione della gente.
Chi non ha soldi resta fuori.
La Corte Costituzionale ha scritto nero su bianco che garantire la sanità a tutti non è optional, è un obbligo costituzionale. Ma questo governo fa finta di niente.
La salute è un diritto, non un lusso per pochi.