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pod al popolo, #015_ poesia riconoscibile, poesia ri-conosciuta, e postpoesia

Su Snaporaz il 20 luglio è comparso questo articolo di Gilda Policastro:
“Siamo in troppi a farmi schifo”: i poeti e il loro pubblico https://www.snaporaz.online/siamo-in-troppi-a-farmi-schifo-i-poeti-e-il-loro-pubblico/

Il 3 agosto Fahrenheit (RadioTre) invita lei a parlarne, insieme a Elisa Donzelli e Maurizio Cucchi (il link che segue è già predisposto per far iniziare la trasmissione nel punto preciso in cui Susanna Tartaro introduce il dialogo, a 36′ 23”):
Poesia, come riconoscerla? https://www.raiplaysound.it/audio/2023/08/Fahrenheit-del-03082023-737b0288-4446-4f8b-ae03-421758ccd08e.html?ts=2183

Last & least: attraverso una serie di annotazioni audio montate assieme (chiedo venia per la variabilità del timbro e dell’altezza dei suoni), ho cercato di intercettare gli argomenti di Policastro, Donzelli e Cucchi rispondendo in particolare ai rilievi di quest’ultimo, in Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.

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N.b.: nella registrazione non faccio alcun cenno alla mia sommaria ricostruzione di un periodo cruciale della distribuzione/editoria di poesia tra inizio anni Ottanta e primi anni Duemila, e quindi della situazione tragicomica in cui si trova la poesia (assertiva) contemporanea; ma chi lo desidera può leggere questi due interventi:

https://slowforward.net/2022/02/21/poesia-per-il-pubblico-a-k/
e
https://slowforward.net/2022/10/12/italia-sommersa-francia-emersa/

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linee di sperimentazione (neopoesia vs postpoesia)

riproduco qui di séguito – rielaborati – due commenti fb a un post di Ranieri Teti che mi ha dato occasione di precisare ancora una volta – attraverso le parole di Jean-Marie Gleize – qualcosa sulla differenza tra neopoesia (in linea con le sperimentazioni degli anni Sessanta e decenni successivi) e postpoesia (superamento della o meglio indifferenza alla questione dei generi letterari, littéralité ecc.):

possiamo tracciare una linea diretta tra le sperimentazioni linguisticamente complesse degli anni Sessanta e Settanta e la contemporaneità più stretta.
i nomi sono quelli che conosciamo: Cacciatore, Villa, in parte Vicinelli, sicuramente Lora Totino, Diacono, Toti, Fontana, le prime opere di Bàino, di Cepollaro, … ecc. (ma anche il primo Sanguineti, certo).

tutto ciò è razionale, positivo e verificabile.
allo stesso tempo, però, sottolineo (non per la prima volta) che è altrettanto razionale, positivo e verificabile che si tratta di quel tipo di testualità che Jean-Marie Gleize da qualche lustro definisce neopoesia; mentre sia in Francia che in Italia, a far tempo dagli anni Novanta, e in Italia soprattutto con Costa e il forse inconsapevole Bordini, fino all’esempio di Prosa in prosa nel 2009 e oltre, si è dispiegata una messe di materiali di incredibile quantità e direi anche qualità, rubricabile come postpoesia, interessata soprattutto alla letteralità, littéralité, alla platitude, alla nudità integrale del testo.
 
le parentele tra neopoesia e postpoesia possono essere di prossimità ma non sempre di sintonia.
a unirle (o meglio: a non disunirle troppo) c’è forse una istanza di “non assertività”, nell’accezione da me spiegata svariate volte.

istanza, poi, energicamente oppositiva rispetto alla onniestesa scrittura o meglio poesia assertiva, mainstream.

ma che possa essere in qualche modo pacifico e aproblematico che postpoesia e neopoesia si trovino sempre e comunque sullo stesso versante dell’ambiente letterario, a me sembra come minimo dubitabile. (o comunque da verificare: caso per caso).
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l’affrancamento dal ’57 / differx. 2022

per fortuna, di tanto in tanto, l’Italia letteraria riesce con lena e sforzo ad affrancarsi dal 1957 e dalla lizza Pasolini Sanguineti, e ritrova il proprio tempo: l’Ottocento.

con gli appelli alla memoria itala vera, l’unione dei cuori, la sospensione dei conflitti fra poeti, l’elogio al funerale, la chiesa, i discorsi dal pulpito, i ricordi coi baffoni, les daguerréotypes, l’omaggio alle forze dell’ordine, il Prestigioso Premio, il Re, le barbe lunghe, il saluto all’autorità religiosa, l’antica confetteria, l’elzeviro per ricordare il grande scrittore, i buoni sentimenti, la Patria, una Rimini di chef e di cocottes, la pizza Margherita, il gelato di Giolitti, Trento e Trieste.

gli sia lieve la terra, requiescat in inglese, ovunque si trovi, non ti dimenticheremo, stringiamoci applaudiamo, ovunque proteggi, la cittadinanza commossa a imperitura memoria pose.

pod al popolo, #010_ il pubblico dell’economia della poesia

Come ragionevolmente aggiornare il celebre titolo 1975 di Berardinelli & Cordelli? La risposta in questo decimo Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.

brevissima notilla, ennesima, sulla scrittura installativa

la scrittura di scena è, in teatro, quasi l’equivalente (o l’equivalente schietto) della scrittura installativa in letteratura. materiale d’uso. materiale indifferente. un cumulo di linguaggio (A Heap of Language, per citare un’opera di Robert Smithson) che si può solo guardare, non leggere. si gira intorno al cumulo, al mucchio, o lo si scala, ma come si fa a leggerlo? non si legge. o: non è necessario. non è richiesto. è un oggetto.
è, appunto, un’installazione.

 

una formazione sociale qualsiasi… / gilles deleuze. 1974

Una formazione sociale qualsiasi ha sempre l’aria di funzionare bene. Non c’è motivo perché non funzioni. E tuttavia c’è sempre un lato attraverso cui avvengono delle fughe e per cui si disfa. Non si sa mai se il messaggero arriverà a destinazione. E più ci si avvicina alla periferia del sistema, più i soggetti si trovano presi in una specie di tentazione: o sottomettersi ai significanti, obbedire agli ordini del burocrate e seguire l’interpretazione del grande prete, o essere trascinati altrove, al di là, vettore folle, tangente di deterritorializzazione. Seguire una linea di fuga, diventare nomadi, emettere quelle che Guattari poco fa chiamava particelle asignificanti.

(Gilles Deleuze, Due regimi di folli, intervento del 1974, ripubblicato anche in Due regimi di folli e altri scritti. Testi e interviste 1975-1995.
Edizione italiana e traduzione a cura di D. Borca, Einaudi, Torino 2010, pp. 6-7)

mg, “cose chiuse fuori” (aragno, collana ‘i domani’, 2023)

Cose chiuse fuori conclude/completa e sigilla, “chiude fuori”, una possibile esalogia (“ES-a-logia”, volendo), di cui qui di séguito si dà il disegno – con nessun riferimento cronologico: i tasselli che andrebbero infatti pensati come “contemporanei in quindici anni” circa (2000-2015) sono La casa esposta, Delle osservazioni, Shelter, Delvaux, Maniera nera – e, appunto, questo libro.

Libro che – oltre a pagine inedite – riprende in parte – e colloca in struttura – anche vari e variati testi usciti in Altre ombre (La camera verde, 2004), Superficie della battaglia (La camera verde, 2006), materiali inclusi nel Nono quaderno di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2007), e Delvaux (Oèdipus, 2013).

È scrittura “assertiva”? Sì, in gran parte o del tutto. L’esalogia funziona da traccia novecentesca, diciamo, all’interno di un progetto di “opera di opere”, o raggiera più ampia di testi, che sarà o vorrà essere estranea a cronologia, storia, “sviluppi” e insomma a una presunta diacronia; e che includerà, in netta maggioranza, pagine non assertive.

Nella raggiera, che si intitolerà paradossalmente Delle restrizioni, l’elemento Cose chiuse fuori occuperà un posto strutturale.

pod al popolo, #005_ conferenza sull’installance: audio integrale (2′ 47”)

Come imperitura traccia della Conferenza sottovoce (e sotto pioggia) sull’installance, ecco il file audio dell’affollatissimo incontro, in Pod al popolo. Il podcast irregolare, ennesimo fail again fail better dell’occidente postremo. Buon ascolto.

“il corpo-suono”, frammento da un testo di marco ariano (2019)

“Ogni tanto qualcuno mi chiede quali sono i ‘prodromi’ del mio lavoro sul corpo-suono. Difficile dire, è il lavoro (in gran parte nascosto) di una vita. In questo passaggio, tratto da un contributo scritto nel 2019 per il Convegno Internazionale Dance AND Research, c’è però il senso e la direzione che sempre più in questi ultimi anni si è andata rivelando” (M.A.)