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intervista a francesca albanese sul suo libro “j’accuse”

Intervista audio di Federico Raponi a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU e giurista, che presenta il suo libro
J’ACCUSE. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra (2023)
a Roma, presso la Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo, giovedì 11 gennaio 2024
https://tuttascena1.wordpress.com/2024/01/10/francesca-albanese-jaccuse/

N.B.: le prenotazioni per la sala, per la presentazione del libro di Francesca Albanese, sono ora chiuse e i posti disponibili occupati; ma nel post è ascoltabile l’intervista di Federico Raponi all’autrice e l’incontro dell’11 può essere seguito in diretta all’indirizzo youtube https://www.youtube.com/watch?v=0M1UztGzLOs, ovvero:

il libro: https://www.ibs.it/j-accuse-attacchi-del-7-libro-francesca-albanese-christian-elia/e/9791222500027

non in nostro nome. lettera aperta al presidente sergio mattarella

Signor Presidente, noi sottoscritti cittadini e cittadine Suoi connazionali, impegnati nel mondo della cultura, dell’insegnamento, dell’associazionismo, ci permettiamo di ricordarLe la situazione in atto in Palestina: circa 30.000 vittime civili a Gaza, senza contare i presumibili 10.000 sotto le macerie. 70.000 feriti che non possono essere adeguatamente curati in ospedali distrutti da Israele.

1000 bambini che hanno perso uno o entrambi gli arti inferiori o superiori. 90% degli edifici rasi al suolo: “non è rimasto brandello di muro”, dichiarano i pochi osservatori ONU rimasti sul campo.

Una economia, una società, un paesaggio annichilati. Oltre 2 milioni di persone sono senza un tetto, né acqua, né cibo, né medicinali, né carburanti, e sono spinte dall’esercito israeliano in una piccola sacca a Gaza sud, che peraltro continua ad essere bombardata. Intanto si susseguono dichiarazioni di governanti israeliani sulla necessità di espellere dal territorio di Gaza i palestinesi sopravvissuti, e sul progetto di ricolonizzazione di Gaza da parte dei coloni israeliani, mentre addirittura si pubblicano annunci di lussuosi villaggi turistici da costruire sulle macerie e sui corpi insepolti della popolazione palestinese.

In Cisgiordania (secondo l’ONU, “Territori Occupati”) gli oltre 700.000 coloni israeliani, che hanno occupato illegalmente il territorio e rendono molto problematica, per non dire impossibile, la soluzione “due popoli, due Stati”, spalleggiati dall’esercito di Israele, attaccano quotidianamente e uccidono i contadini palestinesi, compresi donne, anziani, adolescenti.

Israele ha ucciso 138 funzionari dell’ONU e continua a bombardare i convogli dell’agenzia per i rifugiati dell’ONU. Colpisce le ambulanze che trasportano i feriti. Cattura, e umilia denudandoli e ingiuriandoli, centinaia di cittadini colpevoli semplicemente di essere palestinesi. Israele ha trucidato un centinaio di giornalisti e fotografi nell’esercizio del loro lavoro.

Il segretario generale dell’ONU Guterres ha denunciato ripetutamente la “catastrofe umanitaria”, l’Assemblea generale dell’ONU approva la risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco.

Alcuni stati, come il Sudafrica deferiscono Israele alla Corte penale internazionale per violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario e di fronte alla Corte internazionale di giustizia per genocidio. Migliaia chiedono alla Corte penale internazionale di arrestare, giudicare e condannare Netanyahu e la cupola politico-militare israeliana per questi motivi. Altri Paesi della UE annunciano varie azioni contro Israele, mentre il nostro governo appare silente o complice dei crimini in corso.

Quando l’Armata Rossa sovietica liberò Auschwitz il 27 gennaio 1945 e vennero alla luce gli orrori della Shoah, alcuni giustificarono il loro silenzio e la loro inazione dicendo di ignorare cosa stesse accadendo nei lager nazisti.

Oggi assistiamo in diretta alla pulizia etnica e all’olocausto del popolo palestinese. Nessuno può dire “non so”.

È per noi grave che Ella nel Suo messaggio riduca il genocidio in corso a “un’azione militare [di Israele] che provoca anche [evidenziazione nostra] migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

Nient’altro.

Ella, Signor Presidente, avrebbe potuto, e riteniamo dovuto, riprendere le dichiarazioni del segretario dell’Onu, le risoluzioni dell’Assemblea generale e levare una voce per l’immediato cessate il fuoco in Palestina. Come anche alcuni leader europei hanno chiesto. Ella, invece, ha taciuto, Signor Presidente.

Nelle Sue parole il genocidio del popolo palestinese in corso (è la definizione dello storico israeliano Ilan Pappé, costretto ad abbandonare il suo paese e la sua università per le minacce di cui è stato oggetto) è stato ridotto alla reazione israeliana “che provoca anche migliaia di vittime civili”.

Durante la Resistenza antifascista i massacri operati dai nazifascisti si chiamavano “rappresaglia”; alle Fosse Ardeatine i nazisti applicarono la formula del “10 italiani per un tedesco”.

La rappresaglia di Israele (se di rappresaglia si può parlare e non di un piano preordinato di svuotare Gaza della popolazione palestinese e riportarla sotto il diretto controllo israeliano) supera di molto il criterio nazista delle Fosse Ardeatine.

Tra l’altro, Ella evita di dare un nome al popolo vittima del massacro: nel Suo discorso sono “moltitudini di persone”. NO, non sono “moltitudini”, “volgo disperso che nome non ha”: è il popolo palestinese che subisce da 75 anni l’occupazione di Israele, è il popolo che si oppone e resiste all’occupazione, come fecero i nostri patrioti nel Risorgimento e i partigiani nella Resistenza antinazifascista italiana.

Ella dice che i giovani vanno educati alla pace, ma non si educa se non si compie un’operazione di verità, e la verità non è solo non dire il falso, ma dare un quadro completo delle cose.

Il Suo discorso – un discorso ufficiale, a reti televisive unificate a tutto il Paese – per quel che dice e per quello che NON dice, viola i principi cui pure Ella dichiara di ispirarsi, non educa alla verità, né alla giustizia, in difesa morale di ogni popolo oppresso.

La parte del Suo discorso dedicata al conflitto in Medio Oriente è in definitiva schiacciata sulla politica bellicistica e disumana del governo di Israele, che annuncia un 2024 di guerra.

Legando mani e piedi il nostro Paese alla politica oltranzista di Israele, Ella rompe con quella politica mediterranea di apertura ed equilibrio con i paesi arabi e di riconoscimento delle ragioni del popolo palestinese, promossa tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso da statisti come Moro, Andreotti, Craxi, o da un sindaco eccezionale testimone di pace e costruttore di ponti fra i popoli, come Giorgio La Pira.

Il Suo discorso, Signor Presidente, non è solo un inaccettabile silenzio sul genocidio palestinese in corso, è anche un tradimento della storia italiana, e un colpo ai nostri interessi nazionali. Ebbene, in piena coscienza, e con il massimo rispetto per la carica che Ella riveste, noi sottoscritti ci permettiamo di osservare e di comunicarLe che Ella ha parlato non in nostro nome.

2 gennaio 2024
Angelo d’Orsi, Storico e giornalista, già Ordinario Univ. Di Torino – Direttore “Historia Magistra” e “Gramsciana”
Fabio Marcelli, Roma, dirigente di ricerca, Istituto di studi giuridici internazionali CNR
Andrea Catone, Bari, direttore editoriale edizioni MarxVentuno

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>>> lettera aperta di artisti, letterati, intellettuali al mondo della cultura italiana – per la palestina <<<

per sottoscrivere la lettera aperta che segue, utilizzare l’email artistieintellettualipergaza@gmail.com

LETTERA APERTA DI ARTISTI, LETTERATI, INTELLETTUALI AL MONDO DELLA CULTURA ITALIANA  

Gli artisti e le artiste, gli/le intellettuali, le associazioni culturali che firmano questa Lettera aperta, avvertono l’ineludibile bisogno di prendere posizione di fronte a quanto sta accadendo a Gaza e in tutta la Palestina, e di invitare alla mobilitazione, nelle forme e nei modi che decideremo insieme.

Gaza ha superato il punto di collasso: l’ONU ha descritto il suo stato come “apocalittico”. Diciamo basta. Non possiamo parlare di bellezza, di cultura, di musica, di teatro, di cinema, raccontare la storia e le storie dell’uomo, ignorando l’infamia di cui siamo spettatori inerti e impotenti. Di fronte a tutto questo noi artisti, studiosi, intellettuali e operatori culturali possiamo essere ancora e nuovamente comunità, con un ruolo da svolgere. Riteniamo che il nostro compito, oggi più che mai, sia quello di esercitare uno sguardo che creando bellezza, raccontando verità, metta a nudo l’offesa in atto a Gaza e in Cisgiordania, nei confronti non del solo popolo palestinese, ma della intera umanità, perché denunciandola, ci si avvicina ad esercitare anche un altro diritto: il diritto al sogno. Il sogno di una società giusta e pacifica nella quale ogni essere umano possa non soltanto vivere, ma anche esercitare il proprio diritto appunto al sogno, e alla bellezza.

Il bilancio delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza, secondo gli ultimi rapporti pubblicati da Euro-Med Human Rights Monitor ha superato quota 22.000 (secondo altre fonti ha già toccato la quota 30.000). Fino a martedì 26 dicembre, calcolando anche i morti dispersi sotto le macerie, sono stati uccisi 29.124 palestinesi. La stragrande maggioranza degli uccisi erano civili, tra cui 11.422 bambini, 5.822 donne (numeri che crescono di ora in ora). Più di 1.000 bambini palestinesi hanno perso una o entrambe le gambe, o le braccia.

Il 90 per cento degli edifici di Gaza è stata raso al suolo o danneggiato in modo irrecuperabile. I giornalisti uccisi sono 101, il personale santitario tra medici e paramedici ammonta a quota 226. I profughi – a cui è stato intimato di abbandonare entro 24 ore le loro case e spostarsi a Sud in campi profughi “sicuri”, a loro volta bombardati – sono 1.900.000. 

Secondo l’inchiesta del New York Times e rilanciata dalla Cnn, Israele a sud di Gaza nelle aree in cui aveva spinto i civili a fuggire dopo l’inizio dell’operazione di terra, ha usato munizioni altamente distruttive che moltiplicano i rischi di vittime civili collaterali. Le bombe in questione sono le MK-84 da 900 chili di peso, le più distruttive degli arsenali militari occidentali. Bombe che, secondo gli esperti militari Usa consultati dal Times, non vengono quasi mai sganciate dalle forze statunitensi in aree densamente popolate, proprio per i rischi che rappresentano per la popolazione civile. I gazawi sono privati di acqua potabile, carburante, energia elettrica, cibo, attrezzature mediche, presidi sanitari. Gli ospedali sono costretti a compiere amputazioni di arti senza anestesia, sempre se intanto non vengono bombardati, perché ormai la regola degli israeliani è colpire anche gli ospedali, le scuole, i luoghi di culto, i musei. “Nessun luogo è sicuro” hanno dichiarato i rappresentanti dell’Agenzia ONU per i rifugiati, quelli sopravvissuti alla strage che “l’esercito più morale del mondo” (come si autodefinisce) ha compiuto e compie quotidianamente, anche del personale ONU (finora circa 140 uccisi). Centinaia di civili arrestati, denudati, umiliati dai soldati israeliani. E mentre l’esodo forzato dei palestinesi prosegue, governanti di Israele dichiarano, tranquillamente, che annetteranno il territorio di Gaza, e che i palestinesi se ne devono andare, addirittura qualcuno ha ipotizzato l’America Latina.

Nei giorni scorsi sono stati trucidati dall’IDF tre ostaggi israeliani mentre sventolavano bandiera bianca, perché creduti palestinesi. Il che si traduce nella candida ammissione che l’esercito israeliano spara anche ai civili palestinesi, senza preoccuparsi, il che del resto è accaduto anche nella fatidica giornata del 7 ottobre. L’Agenzia ONU per i rifugiati denuncia Israele per aver bombardato un convoglio di aiuti umanitari, che percorreva una strada indicata dalle forze israeliane come sicura.

Questa catastrofe (che non a caso è il significato preciso, drammatico della parola “Nakba”, per i palestinesi) non è un evento “naturale”, è invece frutto di scelte, di azioni determinate e perseguite lucidamente. Ciò che accade in Palestina è sconvolgente, inumano, inammissibile sotto ogni riguardo. Noi stiamo assistendo non ad una guerra, ma allo sterminio premeditato di un popolo inerme. È l’abominio che, attraverso l’ennesimo travestimento semantico, si camuffa da “diritto alla difesa”.

Di fronte a tutto ciò riteniamo che la neutralità, l’equidistanza corrispondano a una forma di complicità: ma anche il silenzio è una forma di connivenza con chi opprime, chi distrugge, chi imprigiona, chi uccide, con chi stermina indiscriminatamente persone “fragili”: anziani, donne, bambini. Come ha detto Papa Francesco, questo del 2023 è stato “Il Natale di Erode”. E il nostro cuore è gonfio di sdegno, ma non vogliamo più accontentarci di questo, vogliamo mobilitarci e invitare alla mobilitazione.

Perciò noi sottoscritti, ci uniamo e intendiamo mobilitarci per chiedere:

– Il cessate il fuoco permanente a Gaza per impedire che lo sterminio prosegua con altre decine di migliaia di uccisioni indiscriminate di civili palestinesi, e che i palestinesi siano costretti ad abbandonare Gaza, il suo territorio, le sue acque.

 – La denuncia inequivocabile dei crimini che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza, ed il rifiuto della logica giustificante dell’ingannevole frase “Israele ha diritto a difendersi”. Non ci si difende annientando un popolo inerme e incarcerato in un fazzoletto di terra, sottoposto a un blocco atroce che dura da un ventennio.

– Il diritto di esprimere liberamente, sulla base delle nostre conoscenze e delle nostre sensibilità di artisti e intellettuali, analisi e valutazioni della crisi in atto in Medio Oriente, a cominciare dalla denuncia che tutti noi abbiamo fatto per gli aspetti feroci dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, consapevoli che quella ferocia che condanniamo non che è l’altra faccia della medaglia: l’occupazione abusiva e la pratica dell’apartheid da parte del governo israeliano. 

– Il diritto di non accettare più in nessuna forma il ricatto della Shoah, la speculazione politica da parte del sionismo, e di non avere paura dell’accusa grottesca di “antisemitismo”, accusa che senza pudore anche oggi, per ignoranza o malafede, viene riproposta contro chiunque osi denunciare il genocidio in atto contro il popolo palestinese.

L’incriminazione di Benjamin Netanyahu (e dei suoi ministri) come da poco ha fatto il Sudafrica, davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU per crimini di guerra e contro l’umanità ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite.

Proprio come i firmatari del primo appello in difesa del capitano Alfred Dreyfus, guidati da Emile Zola nel 1894, come artisti e intellettuali, noi riteniamo di avere il diritto ma anche il dovere di scendere in campo. Di uscire dal silenzio, e di invitare tutti i nostri sodali a fare altrettanto. Per questa ragione, con la firma di questa lettera, proclamiamo l’impegno a progettare insieme strategie, eventi, articoli, testi poetici o narrativi, spettacoli, performances artistiche, drammaturgiche, cinematografiche e musicali, che facciano sì che questa lettera non sia un mero sfogo, ma una chiamata a raccolta, un momento di inizio: siamo qui per restare, e agire: vogliamo essere voce e non complice silenzio.

Ci diamo appuntamento ad un prossimo raduno in forma virtuale, per ora, su una piattaforma che ce lo consenta, per definire collettivamente tali strategie.

Promotori:

Angelo d’Orsi, Storico, Giornalista, Organizzatore culturale

Alessandro Negrini, Regista

PER ADERIRE ALLA LETTERA APERTA:
artistieintellettualipergaza@gmail.com

lettera aperta di artisti, letterati, intellettuali al mondo della cultura italiana – per la palestina

LETTERA APERTA DI ARTISTI, LETTERATI, INTELLETTUALI AL MONDO DELLA CULTURA ITALIANA  

Gli artisti e le artiste, gli/le intellettuali, le associazioni culturali che firmano questa Lettera aperta, avvertono l’ineludibile bisogno di prendere posizione di fronte a quanto sta accadendo a Gaza e in tutta la Palestina, e di invitare alla mobilitazione, nelle forme e nei modi che decideremo insieme.

Gaza ha superato il punto di collasso: l’ONU ha descritto il suo stato come “apocalittico”. Diciamo basta. Non possiamo parlare di bellezza, di cultura, di musica, di teatro, di cinema, raccontare la storia e le storie dell’uomo, ignorando l’infamia di cui siamo spettatori inerti e impotenti. Di fronte a tutto questo noi artisti, studiosi, intellettuali e operatori culturali possiamo essere ancora e nuovamente comunità, con un ruolo da svolgere. Riteniamo che il nostro compito, oggi più che mai, sia quello di esercitare uno sguardo che creando bellezza, raccontando verità, metta a nudo l’offesa in atto a Gaza e in Cisgiordania, nei confronti non del solo popolo palestinese, ma della intera umanità, perché denunciandola, ci si avvicina ad esercitare anche un altro diritto: il diritto al sogno. Il sogno di una società giusta e pacifica nella quale ogni essere umano possa non soltanto vivere, ma anche esercitare il proprio diritto appunto al sogno, e alla bellezza.

Il bilancio delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza, secondo gli ultimi rapporti pubblicati da Euro-Med Human Rights Monitor ha superato quota 22.000 (secondo altre fonti ha già toccato la quota 30.000). Fino a martedì 26 dicembre, calcolando anche i morti dispersi sotto le macerie, sono stati uccisi 29.124 palestinesi. La stragrande maggioranza degli uccisi erano civili, tra cui 11.422 bambini, 5.822 donne (numeri che crescono di ora in ora). Più di 1.000 bambini palestinesi hanno perso una o entrambe le gambe, o le braccia.

Il 90 per cento degli edifici di Gaza è stata raso al suolo o danneggiato in modo irrecuperabile. I giornalisti uccisi sono 101, il personale santitario tra medici e paramedici ammonta a quota 226. I profughi – a cui è stato intimato di abbandonare entro 24 ore le loro case e spostarsi a Sud in campi profughi “sicuri”, a loro volta bombardati – sono 1.900.000. 

Secondo l’inchiesta del New York Times e rilanciata dalla Cnn, Israele a sud di Gaza nelle aree in cui aveva spinto i civili a fuggire dopo l’inizio dell’operazione di terra, ha usato munizioni altamente distruttive che moltiplicano i rischi di vittime civili collaterali. Le bombe in questione sono le MK-84 da 900 chili di peso, le più distruttive degli arsenali militari occidentali. Bombe che, secondo gli esperti militari Usa consultati dal Times, non vengono quasi mai sganciate dalle forze statunitensi in aree densamente popolate, proprio per i rischi che rappresentano per la popolazione civile. I gazawi sono privati di acqua potabile, carburante, energia elettrica, cibo, attrezzature mediche, presidi sanitari. Gli ospedali sono costretti a compiere amputazioni di arti senza anestesia, sempre se intanto non vengono bombardati, perché ormai la regola degli israeliani è colpire anche gli ospedali, le scuole, i luoghi di culto, i musei. “Nessun luogo è sicuro” hanno dichiarato i rappresentanti dell’Agenzia ONU per i rifugiati, quelli sopravvissuti alla strage che “l’esercito più morale del mondo” (come si autodefinisce) ha compiuto e compie quotidianamente, anche del personale ONU (finora circa 140 uccisi). Centinaia di civili arrestati, denudati, umiliati dai soldati israeliani. E mentre l’esodo forzato dei palestinesi prosegue, governanti di Israele dichiarano, tranquillamente, che annetteranno il territorio di Gaza, e che i palestinesi se ne devono andare, addirittura qualcuno ha ipotizzato l’America Latina.

Nei giorni scorsi sono stati trucidati dall’IDF tre ostaggi israeliani mentre sventolavano bandiera bianca, perché creduti palestinesi. Il che si traduce nella candida ammissione che l’esercito israeliano spara anche ai civili palestinesi, senza preoccuparsi, il che del resto è accaduto anche nella fatidica giornata del 7 ottobre. L’Agenzia ONU per i rifugiati denuncia Israele per aver bombardato un convoglio di aiuti umanitari, che percorreva una strada indicata dalle forze israeliane come sicura.

Questa catastrofe (che non a caso è il significato preciso, drammatico della parola “Nakba”, per i palestinesi) non è un evento “naturale”, è invece frutto di scelte, di azioni determinate e perseguite lucidamente. Ciò che accade in Palestina è sconvolgente, inumano, inammissibile sotto ogni riguardo. Noi stiamo assistendo non ad una guerra, ma allo sterminio premeditato di un popolo inerme. È l’abominio che, attraverso l’ennesimo travestimento semantico, si camuffa da “diritto alla difesa”.

Di fronte a tutto ciò riteniamo che la neutralità, l’equidistanza corrispondano a una forma di complicità: ma anche il silenzio è una forma di connivenza con chi opprime, chi distrugge, chi imprigiona, chi uccide, con chi stermina indiscriminatamente persone “fragili”: anziani, donne, bambini. Come ha detto Papa Francesco, questo del 2023 è stato “Il Natale di Erode”. E il nostro cuore è gonfio di sdegno, ma non vogliamo più accontentarci di questo, vogliamo mobilitarci e invitare alla mobilitazione.

Perciò noi sottoscritti, ci uniamo e intendiamo mobilitarci per chiedere:

– Il cessate il fuoco permanente a Gaza per impedire che lo sterminio prosegua con altre decine di migliaia di uccisioni indiscriminate di civili palestinesi, e che i palestinesi siano costretti ad abbandonare Gaza, il suo territorio, le sue acque.

 – La denuncia inequivocabile dei crimini che Israele sta compiendo nella Striscia di Gaza, ed il rifiuto della logica giustificante dell’ingannevole frase “Israele ha diritto a difendersi”. Non ci si difende annientando un popolo inerme e incarcerato in un fazzoletto di terra, sottoposto a un blocco atroce che dura da un ventennio.

– Il diritto di esprimere liberamente, sulla base delle nostre conoscenze e delle nostre sensibilità di artisti e intellettuali, analisi e valutazioni della crisi in atto in Medio Oriente, a cominciare dalla denuncia che tutti noi abbiamo fatto per gli aspetti feroci dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, consapevoli che quella ferocia che condanniamo non che è l’altra faccia della medaglia: l’occupazione abusiva e la pratica dell’apartheid da parte del governo israeliano. 

– Il diritto di non accettare più in nessuna forma il ricatto della Shoah, la speculazione politica da parte del sionismo, e di non avere paura dell’accusa grottesca di “antisemitismo”, accusa che senza pudore anche oggi, per ignoranza o malafede, viene riproposta contro chiunque osi denunciare il genocidio in atto contro il popolo palestinese.

L’incriminazione di Benjamin Netanyahu (e dei suoi ministri) come da poco ha fatto il Sudafrica, davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU per crimini di guerra e contro l’umanità ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite.

Proprio come i firmatari del primo appello in difesa del capitano Alfred Dreyfus, guidati da Emile Zola nel 1894, come artisti e intellettuali, noi riteniamo di avere il diritto ma anche il dovere di scendere in campo. Di uscire dal silenzio, e di invitare tutti i nostri sodali a fare altrettanto. Per questa ragione, con la firma di questa lettera, proclamiamo l’impegno a progettare insieme strategie, eventi, articoli, testi poetici o narrativi, spettacoli, performances artistiche, drammaturgiche, cinematografiche e musicali, che facciano sì che questa lettera non sia un mero sfogo, ma una chiamata a raccolta, un momento di inizio: siamo qui per restare, e agire: vogliamo essere voce e non complice silenzio.

Ci diamo appuntamento ad un prossimo raduno in forma virtuale, per ora, su una piattaforma che ce lo consenta, per definire collettivamente tali strategie.

Promotori:

Angelo d’Orsi, Storico, Giornalista, Organizzatore culturale

Alessandro Negrini, Regista

PER ADERIRE ALLA LETTERA APERTA:
artistieintellettualipergaza@gmail.com