Nell’appello “Per l’uso dei veri social media nelle università”, la Neue Soziale Medien chiede la chiusura degli account su X/Twitter e la gestione della comunicazione digitale nel Fediverso. Uno dei primi firmatari descrive il contesto.
Negli ultimi vent’anni la comunicazione delle università con il pubblico ha subito una progressiva rivoluzione. I comunicati stampa che allora venivano diffusi con grande entusiasmo sono stati sostituiti dalla pubblicazione di notizie sulle principali piattaforme Internet Twitter e Facebook. Entrambi i canali sono stati integrati negli anni da Instagram, YouTube e, più recentemente, TikTok.
Le università sono sempre ansiose di presentare sulle loro homepage il prossimo logo di una grande azienda monopolistica. Quindi, passo dopo passo, siamo finiti in una situazione in cui sembra che il lavoro delle pubbliche relazioni non possa più essere immaginato senza questi media.
“La lentezza della luce” è un progetto che suggerisce di soffermarsi per un tempo appropriato sulla complessità di questa nozione. Il fenomeno dell’irradiazione luminosa, declinato secondo prospettive diverse, sarà il tema centrale una riflessione corale proposta dallo Studio Campo Boario. Nel 2020, per l’emergenza mondiale legata alla pandemia per il Covid, è stata proposta una versione online, costituita da interventi registrati direttamente nelle case dei relatori e distribuiti attraverso il canale YouTube dello Studio Campo Boario. Possiamo finalmente proiettare il progetto nella sua interezza in un’unica giornata: venerdì 16 febbraio, in tre distinte proiezioni che proporranno i diversi contributi in tre orari: alle 17.00, alle 19.00 e alle 21.30.
Alle 17 verranno proiettati i contributi di: Rossella Ragazzi, Bruno Di Marino, Paolo Ferrari, Matteo Piccioni
Alle 19: Rossella Ragazzi, Marco Giovenale, Daria M. Capece, Stefano Iachetti, Silvia Stucky, Catalina Corceanu, Roberto Forza, Bruno Lo Turco, Lucrezia Boso, Alessandro Carrera, Flavia Bigi, Elio Martusciello, Mario Benincasa, Stefano Di Stasio, Alberto D’Amico
Alle 21.30: Rossella Ragazzi, Silvia Bordini, Gianni Garrera, Danila Fruci, Lisa Giombini, Alberto Coppo, Alessandro Nucara, Pietro D’Agostino, Alipio Carvalho Neto, Marco Giovenale, Rossella Faraglia, Dominique Bollinger, Letizia Papini, Giuseppe Garrera
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti. Prenotazione consigliata all’email: studiocampoboario@gmail.com
“La lentezza della luce” è un progetto che suggerisce di soffermarsi per un tempo appropriato sulla complessità di questa nozione. Il fenomeno dell’irradiazione luminosa, declinato secondo prospettive diverse, sarà il tema centrale una riflessione corale proposta dallo Studio Campo Boario. Nel 2020, per l’emergenza mondiale legata alla pandemia per il Covid, è stata proposta una versione online, costituita da interventi registrati direttamente nelle case dei relatori e distribuiti attraverso il canale YouTube dello Studio Campo Boario. Possiamo finalmente proiettare il progetto nella sua interezza in un’unica giornata: venerdì 16 febbraio, in tre distinte proiezioni che proporranno i diversi contributi in tre orari: alle 17.00, alle 19.00 e alle 21.30.
Alle 17 verranno proiettati i contributi di: Rossella Ragazzi, Bruno Di Marino, Paolo Ferrari, Matteo Piccioni
Alle 19: Rossella Ragazzi, Marco Giovenale, Daria M. Capece, Stefano Iachetti, Silvia Stucky, Catalina Corceanu, Roberto Forza, Bruno Lo Turco, Lucrezia Boso, Alessandro Carrera, Flavia Bigi, Elio Martusciello, Mario Benincasa, Stefano Di Stasio, Alberto D’Amico
Alle 21.30: Rossella Ragazzi, Silvia Bordini, Gianni Garrera, Danila Fruci, Lisa Giombini, Alberto Coppo, Alessandro Nucara, Pietro D’Agostino, Alipio Carvalho Neto, Marco Giovenale, Rossella Faraglia, Dominique Bollinger, Letizia Papini, Giuseppe Garrera
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti. Prenotazione consigliata all’email: studiocampoboario@gmail.com
è anche necessario uscire dalla logica della ‘durata’ restando contemporaneamente consapevoli del tempo. il differente/differx sognerebbe, di fatto, un film negativo, che finisse prima di cominciare:
un passo avanti, o indietro, forse, rispetto agli schermi in pieno bianco e pieno nero del Debord di Hurlements.
molti tentativi di cinema breve e assolutamente assolutamente LOW-RES fatti in questi anni con il mio canale andavano/vanno in questa direzione. la brevità è un imperativo, ma non basta. ovviamente la ricerca continua.
Alcune citazioni in corsivo da questo articolo di Fabrizio Spinelli su RivistaStudio, e mie risposte o annotazioni:
Ci sono delle eccezioni, ovviamente, ma l’impressione è questa: che la poesia abbia smesso di vivere nel proprio tempo, di raccontare il proprio tempo, di cercare una forma adatta al proprio tempo – e che invece insista su problematiche unicamente formali, “poeticizzi” oppure al contrario esaurisca gli ultimi empiti di avanguardia, si richiuda in una lallazione autistica.
Insomma o in un’ampolla o nell’altra. Dalla clessidra non si esce, neanche quando ti capovolgono (e succede in continuazione).
La poesia, negli ultimi decenni (generalizziamo? Sì, generalizziamo), ha smesso di fare quello che tutta la poesia seria ha sempre fatto: cantare la condizione dell’uomo nel proprio tempo. E per un poeta nato negli anni ’70 o ’80 il problema non è secondario: come si fa? Come cantare l’ipermodernità capitalista, Amazon, il razzismo sistemico, le disuguaglianze sociali, l’ondata di femminicidi, come cantare Internet, i problemi di sostenibilità cognitiva del nuovo terziario diffuso, la crisi economica, Minecfrat, Tinder, la depressione, lo sport in tv?
Ma perché generalizzare? (E perché “cantare la condizione…”?; ma questa è un’altra faccenda).
Comunque, una botta di pubblicità biecamente autoreferenziale: “Le prose qui raccolte mostrano vicende e affermazioni al limite del surreale, e allo stesso tempo pienamente reali: parlano di alberi, democrazia, psicofarmaci, tasse, doppiaggio, Testaccio, corsi di chef, scatole nascoste, gente che ha il diritto di sapere, impiegati di banca in campagna, recintati. E poi ancora schermi, romanzi morali, mobili in vendita, Poseidone e altri dèi, microfoni e corrieri, locali di successo, per giovani, cantanti e carte di credito, YouTube, levrieri, interviste, e un generatore casuale di repubbliche” (https://ticedizioni.com/collections/chapbooks/products/la-gente-non-sa-cosa-si-perde-giovenale). (Avrò cantato una qualche condizione? Boh. O sarò stato lallante & autistico? Chissà).
Sono domande che ogni poeta dovrebbe farsi, prima di comporre l’ennesimo testo breve dal significato altamente elusivo o l’ennesimo collage asemico che risponda al concetto di schizofrenia dell’uomo moderno secondo Deleuze e Guattari
Se per “collage” si intende qualcosa che riguarda la poesia o il montaggio di versi leggibili, vedo che continua adamantina la confusione tra “asemic writing” e scrittura lineare (di ricerca, che ovviamente equivale a incomprensibile o pervicacemente estranea alla “condizione dell’uomo” contemporaneo).
Quella tra scrittura lineare e asemic writing è una confusione (certo involontariamente) fake che si può far risalire al 2013, e che ormai si è memizzata, è diventata un luogo comune. Va corretta, comunque, sennò proseguirà a diffondersi. (Lo so: non sarà corretta, e lo so: proseguirà a diffondersi). (Peace).
Disamina finita.
Beh, insomma…
Ora parliamo di Claudia Rankine
Thumbs up.
…lo sperimentalismo di Liv Hejinian e di altri poeti in odore di L=A=N=G=U=A=G=E…
Occhio, non “Liv”: è “Lyn” Hejinian. Un’occhiata a slowforward non guasta: https://slowforward.net/?s=hejinian. Hejinian, in ogni caso è stata tradotta per (conosciuta e fatta conoscere da) quegli oscuri antilirici punk di gammm nel 2007 ed è presente anche in forma cartacea dal 2012 grazie alla collana ChapBooks di Bortolotti e Zaffarano, insieme a una robusta flottiglia di autori (non solo langpo) stranieri e italiani che (teste Picconi), sono assai assai meno interessati a una diatriba fra lirici e sperimentali, rispetto ad altre distinzioni e ramificazioni. (Che non sempre tutti i critici condividono, ma questo è il bello della letteratura). (O sarebbe. Se qualcuno mai leggesse).
§
Citazione in explicit (che – sono certo – verrà data per scontata, e daccapo verranno non effettivamente letti gli autori che vi sono nominati):
[…]
Tarkos semplicemente descrive quello che vede. Non ci dice ciò che dovremmo vedere. Simile anche in questo a [Corrado] Costa, non ha firmato in nostra vece un accordo retorico in base al quale venga deciso come noi stessi interpreteremmo i dati di realtà (di cui ci parla): parla, [Christophe] Tarkos, di un oggetto e nient’altro, non proietta sulla distanza che ci separa da lui le regole secondo le quali dovremmo, noi che leggiamo, funzionare.
Osserviamo il primo dei Sette anacronismi – scelti dal più ampio Anachronisme, P.O.L., Parigi 2001 – tradotti da Michele Zaffarano nella collana ChapBook di Arcipelago (http://gammm.org/index.php/chap/).
[…]
Brani come quelli di Costa (così come potremmo prenderne dal Porta di Partita, o dal Balestrini di Tristano, da testi di Mariangela Guatteri o Andrea Inglese) vengono additati dal cipiglio di chi non ama la scrittura di ricerca come testi… complessi, addirittura malati di “strutturalismo”, nostalgici di Laborintus, indecifrabili: oscuri. Ci si può legittimamente domandare cosa ci sia di indecifrabile in Retro di Costa, o in Tarkos, o nel brano di Ida Börjel Una storia senza chiasso, dalla serie Europeiska Midjemått, tradotto dall’inglese da Gherardo Bortolotti (cfr. http://gammm.org/index.php/2009/04/16/da-europeiska-midjematt-ida-borjel-2001-ii/)
[…]
Nel 2013 (daccapo) quanti leggevano le finalmente tradotte Hejinian, DuPlessis, Quintane? https://slowforward.net/2013/02/27/7marzo-roma-nuovi-chapbook-arcipelago/
Nota bene: “noi” (gli incomprensibili asemici punk) non presentavamo questi libri nel baretto sotto casa, ma nella Sala Capizucchi del Centro di Studi italo-francesi, a Roma, in piazza Campitelli 3, a due passi dal Campidoglio, grazie a Luigi Magno, di e per l’Università RomaTre. Come del resto si era fatto nel 2012 con numerosi autori lì chiamati per un convegno; e poi nel 2014 con la presentazione degli atti. La presenza di Gleize a Roma (per il convegno del 2012) aveva perfino riscosso l’attenzione dell’allora ancora esistente “Unità”, ma in quanto a presenza di pubblico diciamo che non avevamo avuto propriamente un effetto stadio. Senza contare che nei mesi o anni successivi l’esistenza degli oggettivisti vecchi e nuovi avrebbe suscitato nel giornalismo cartaceo (e nella critica allitterante) una favolosa ondata d’indifferenza, e in siti e blog tutt’al più si sarebbe avuta qualche puntura piccata e un prevedibile malumore di sottobosco.
Il reale arriva, arriva sempre. Sono gli italiani (alcuni) a restare seduti su un altro binario.
Delle osservazioni è un libro riassuntivo della modalità di Marco Giovenale che potremmo, sbrigativamente, definire postlirica – parallela o intrecciata che sia, non comunque contrapposta – alla sua produzione più immediatamente riconducibile alla cosiddetta «poesia di ricerca». Naturalmente la ricerca c’è anche qui – in questa operazione di autoantologia e in parte di riscrittura che riunisce Storia dei minuti, parte di Criterio dei vetri e qualche altro sparso membro proveniente da altri volumi. Nei termini di Giovenale, i testi raccolti in questo libro conservano un tratto di assertività (la dantesca «volontade di dire» che contrassegna la poesia lirica – ma più in generale l’arte – occidentale almeno fino alle più recenti ondate di avanguardie letterarie a artistiche, concettuali e oggettivistiche), anche se la revisione tende a limarne la perentorietà. Un tratto residuo che – mentre inibisce la modalità comica, altrove molto attiva in Giovenale – motiva alcuni caratteri salienti di questa poesia, riconducibili alla tradizione modernista: l’adorniano carattere di enigma dell’oggetto artistico; il dominio della terza persona; la costruzione del testo attraverso l’interruzione e la sottrazione (e la loro stessa promozione a tema della poesia). Non sapremmo dire se è qui c’è il Giovenale più avanzato – rispetto alla sua stessa poetica esplicita –, ma certamente c’è non poco del Giovenale migliore che molti di noi hanno apprezzato attraverso gli ultimi vent’anni.